Il tema del viaggio: romantico nel senso puro del termine Guardare all’esterno per ritrovare sé stessi Cinque tappe e un finale aperto Clive Owen e Jasmine Trinca: la “strana coppia” che ti conquista

Il tema del viaggio: romantico nel senso puro del termine  Guardare all’esterno per ritrovare sé stessi  Cinque tappe e un finale aperto  Clive Owen e Jasmine Trinca: la “strana coppia” che ti conquista
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«A guardar bene, non decidiamo noi dove andare» e, in effetti, è proprio così: «Guida romantica a posti perduti” di Giorgia Farina è un film introspettivo, delicato e con un finale aperto che lascia in bocca quel senso di dolce amaro che fa venir voglia di saperne di più. Presentato alla 77esima Mostra d’arte cinematografica di Venezia 2020, nell’ambito della rassegna “Giornate degli autori”, questo lungometraggio è il terzo della regista romana ed è già stato acclamato dal pubblico per la sua vena innovativa e mai banale.

Sarebbe stato fin troppo semplice raccontare il viaggio di due amanti che fuggono dalla loro realtà quotidiana. Giorgia Farina va ben oltre e ci conduce per mano nell’avventura di due perfetti sconosciuti che si incontrano per caso e che si lanciano in questo viaggio alla riscoperta di luoghi dimenticati, certo, ma anche della propria interiorità.

Ecco perché abbiamo Allegra, una blogger che soffre di disturbi di ansia, e Benno, giornalista inglese e grande bevitore. I due vivono nello stesso condominio nel cuore di Roma e si incontrano quando Benno, per errore, cerca di entrare in casa di Allegra: superato lo shock di lei e l’imbarazzo di lui, inizia il viaggio on the road. Messi di fronte ai propri limiti, i due protagonisti non possono fare a meno di affrontare le proprie paure: se Allegra ritrova la forza di affrontare il mondo esterno, Benno ha invece il coraggio di guardare in faccia la realtà e capire che il suo vizio lo sta logorando giorno dopo giorno.

L’atmosfera della narrazione è onirica, la luce delicata e le inquadrature personali, tanto da trascinare lo spettatore all’interno delle diverse situazioni vissute, a tratti malinconiche e in altri momenti divertenti ma con quel gusto delicato che non scade mai nell’eccesso.

Come sottolinea la stessa regista, può capitare che «l’attesa per il viaggio futuro e il ricordo di quello passato» possano essere ben più intensi e soddisfacenti del viaggio in sé. Riflettiamoci, proprio come fa Allegra durante il film. Programmare una partenza vuol dire organizzare un itinerario, prenotare un albergo o fantasticare su come saranno le persone che incontreremo ma quasi nessuno pensa ai vari contrattempi: file chilometriche in autostrada, hotel al di sotto delle proprie aspettative, compagni di viaggio troppo o troppo poco avventurosi. Le mille variabili che ci si presentano davanti possono intimorire e scoraggiare, motivo per cui ci si sente in dovere di domandarsi se è davvero il caso di lasciarsi andare ad una nuova avventura o se non sia più comodo rimanere nella propria zona sicura. In questo senso, “Guida romantica a posti perduti” diventa metafora di una vita intera, sospesa tra la voglia di rischiare e il bisogno di rimanere nella propria comfort zone.

Dalla Chiesa di San Vittorino, appena fuori Roma, passando per il villaggio operaio di Crespi d’Adda e il castello abbandonato di Chateau – Thierry, per poi arrivare in un misterioso parco acquatico e completare il viaggio presso il campo militare di Stanford. L’itinerario chiede poco meno di una settimana e il tempo è scandito dai soggiorni in albergo e dalle notti dimenticate di Benno ma ciò che fa la differenza è il crescendo di sensazioni che si provano assistendo a questo percorso. Due sconosciuti che diventano amici e si scoprono tanto simili tra loro da spalleggiarsi durante i momenti di difficoltà, per poi arrivare all’ultima, significativa tappa, in cui finalmente il puzzle dell’esistenza appare più chiaro, sì, ma non per questo compiuto: allo spettatore è data la possibilità di pensare al finale che preferisce, senza che una scelta ne escluda necessariamente un’altra.

Tra l’accento britannico di Benno, interpretato magistralmente da Clive Owen, e il tono di voce pacato di Jasmine Trinca, la sensazione che si prova è quella di trovarsi ad ascoltare i dialoghi di due vecchi amici che non si vedono da tempo. I due protagonisti sono perfettamente calati nei loro personaggi e, sequenza dopo sequenza, portano la narrazione ad un livello sempre più intimo. Quasi infastidiscono i figuranti e i personaggi secondari che sembrano turbare quel clima di amichevole serenità che si instaura tra i due. Eccellente l’interpretazione di Irene Jacob nel ruolo di Brigitte, moglie di Benno, mentre si rivela divertente ma quasi caricaturale il giovanissimo Andrea Carpenzano nel ruolo di Michele, amico e amante di Allegra.

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