Gigi e l’ultima “mandrakata”

Gigi e l’ultima “mandrakata”
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La sua ultima “mandrakata”, Gigi Proietti ce l’ha fatta la settimana scorsa, a distanza di cinquant’anni da uno di quei tanti film che l’hanno reso famoso, amato e, ora possiamo ben dire, immortale.

Il giorno del suo compleanno, mentre noi che abbiamo avuto il piacere di conoscerlo, gli mandavamo un sms di auguri come si fa sempre in questi casi, lui ricoverato da giorni in quell’ospedale che l’aveva già ospitato altre volte proprio per i suoi problemi cardiaci, questa volta non ce l’ha fatta. Uno scherzo del destino, oppure una mandrakata, ha voluto che ci salutasse proprio nel giorno del suo compleanno. Una grave crisi cardiaca ce l’ha portato via.

Nato e morto nello stesso giorno; un colpo di teatro che lo accomuna ad altri grandi come Shakespeare, Raffaello, Ingrid Bergman.

Non potremo più vederlo vestire i panni del maresciallo Rocca, né sentire il racconto delle sue barzellette che sopra e dietro il palcoscenico amava raccontare continuamente. Perché lui era così, sulla scena come nella vita di tutti i giorni, sicché gli piaceva tanto divertire il prossimo.

Grande istrione, era felice se riusciva a regalare un sorriso a chiunque incontrasse. Viveva ispirato dallo stesso mantra del nostro buon Nuccio Cantamutto che, quando andavo a lezione da lui, mi diceva che si doveva essere un po’ attori sempre, quando si saliva sulla tavole del teatro del Marchesato, ma anche quando si entrava al Corona grossa semplicemente per ordinare un caffè al banco.

Io negli anni ho avuto il piacere d’incontrare Gigi Proietti più volte, per lavoro e nella vita privata.

Amico dell’avvocato Manlio Vineis, quando veniva a recitare dalle nostre parti, dormiva all’hotel Astor e cenava a casa nostra.

Qualche anno fa partecipò anche ad un mio libro, in cui avevo raccolto le testimonianze di alcuni vip con cui avevo più confidenza e poi mi invitò a portargliene un volume a casa.

Io, spesso a Roma per i miei impegni da Marzullo, ho sempre rimandato quell’appuntamento e ora, voltandomi indietro, penso a quanto aveva torto il mio amato Oscar Wilde quando scriveva che non bisognava mai rimandare a domani quello che si sarebbe potuto fare dopodomani.

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