L’Unione val Po: demolire gli abusi alla centralina di Pian della Regina

L’Unione val Po: demolire gli abusi alla centralina di Pian della Regina
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Dopo la sentenza ostile del Commissario Regionale agli usi civici, i rappresentanti della Sipre (la società crissolese della famiglia Genre) hanno ricevuto nei giorni scorsi - a firma del responsabile del servizio Paolo Goldoni (Unione Montana del Monviso) - una “ordinanza-diffida” che intima loro di «provvedere a propria cura e spese, alla demolizione e rimozione delle opere abusive difformi dal progetto nonché al ripristino dello stato originale dei luoghi (a Pian Fiorenza, ndr), entro il termine perentorio di 90 giorni con effetto dalla data di notifica dell’ordinanza diffida».

La demolizione delle opere di captazione vuol dire centralina di Pian della Regina senza più approvvigionamenti idrici e costretta quindi a cessare la produzione di energia elettrica (in paese si parla di alcune centinaia di migliaia di euro di danno). Una mazzata.

Ne parlammo per la prima volta a maggio. Anni prima un’ispezione di due tecnici aveva scoperto come le opere realizzate per la captazione dell’acqua fossero visibilmente difformi nelle dimensioni e nel posizionamento rispetto a quello che era il progetto originale che aveva ottenuto il via libera dalle autorità competenti. Secondo il dottor Goldoni sarebbe ravvisabile un abuso, per di più consumato su un’area del patrimonio pubblico, non sanabile con il consueto condono, che la controparte aveva invece richiesto prontamente ed inutilmente l’11 giugno. Un’ammissione di colpa.

L’ordinanza-diffida parla di «peculiare gravità della condotta sanzionata, che riguarda la costruzione di opere abusive su suoli pubblici (peraltro inalienabili, ndr). A ciò consegue, fra l’altro, che la norma non lascia all’ente locale alcun spazio per valutazioni discrezionali, una volta accertata la realizzazione di interventi eseguiti in assenza o in totale difformità del permesso di costruire su suoli demaniali, che impone di ordinarne la demolizione a cura del Comune e a spese del responsabile dell’abuso essendo stato preordinato alla prevenzione/repressione di abusi edilizi con specifica gravità».

Di conseguenza, una volta accertato il carattere abusivo dell’opera e preso atto che «a tutt’oggi non è pervenuta alcuna comunicazione di avvenuto ripristino dello stato dei luoghi, sia da parte del titolare della concessione edilizia sia da parte del concessionario della derivazione di acqua, il provvedimento di ingiunzione alla rimozione del manufatto si configura per l’amministrazione come atto dovuto e vincolato».

Circa la «manifesta illegittimità del procedimento amministrativo» avviato dal Comune di Crissolo, l’ordinanza-diffida replica che «tale rilievo risulta non solo assolutamente privo di pregio, ma fornisce al contrario elementi che confermano l’esatta qualificazione dell’abuso edilizio in esame come abuso sanzionabile».

«La motivazione addotta dalla Sipre per evitare la sanzione – scrive ancora Goldoni - costituirebbe non solo una pericolosa “via alternativa” per eludere la sanzione prevista dalla norma che - come noto - trova giustificazione nella peculiare gravità della condotta sanzionata, che riguarda la costruzione di opere abusive su suoli pubblici, ma si porrebbe in contrasto con quelle stesse esigenze di tutela dell’ambiente che l’autore dell’abuso pretenderebbe invece di salvaguardare. Accogliendo le osservazioni della Sipre, si perverrebbe all’assurda conseguenza di incentivare, anziché limitare al massimo, la perpetrazione di abusi edilizi in zone protette poiché una volta realizzata l’intervento edilizio e commesso così l’abuso, se ne otterrebbe la sua sanatoria adducendo a posteriori che l’opera non può essere demolita perché ciò potrebbe comportare un impatto negativo sull’ambiente circostante».

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