Mussolini fornaio, poeta mediocre

Mussolini fornaio, poeta mediocre
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Caro direttore, il negozio Pane e Company di piazza XX Settembre a Saluzzo espone da tempo immemorabile alcuni versi della cosiddetta “Preghiera del pane”: «Amate il pane cuore della casa /, profumo della mensa…/ Non sciupate il pane / ricchezza della Patria / il più soave dono di Dio / il più santo premio / alla fatica umana» con tanto di nome dell’autore: Benito Mussolini. La prima e ultima poesia scritta dal duce (gennaio 1928) in quegli anni furoreggiò: si era in piena “battaglia del grano”, Mussolini presiedeva il comitato che la gestiva, ogni anno si teneva una festa del pane e le scolaresche erano chiamate a svolgere un tema sull’argomento.

Il duce compariva nelle vesti (anzi per lo più a torso nudo) di infaticabile aratore, irraggiungibile mietitore e baldo trebbiatore. Era anche presentato come grande poeta alimentar-georgico come e più del bimillenario Virgilio.

In realtà la riconversione forzata delle culture in senso cerealicolo ebbe conseguenze pesanti per la piccola proprietà contadina, per i terreni non vocati, come quelli di montagna, favorì il latifondo e lo spopolamento delle aree marginali, compromise frutticoltura e viticoltura. In connessione anche con la megalomane rivalutazione della lira sulla sterlina (“quota 90”) il prezzo del pane, che fino al 1926 era salito di 15 centesimi il chilo, fu ridotto. Calò ad esempio. a 2,15 lire a Cuneo, a 2,10 a Saluzzo e Mondovì, cioè del 13-14%, ma nel periodo 1927-32 gli stipendi furono tagliati del 30-40%.

Dunque la pagnotta, allora alimento base delle classi popolari, rincarò fra un sesto e un quarto del suo valore. Quando poi Mussolini trascinò l’Italia in guerra, scattò il razionamento dei generi alimentari: un cittadino medio non poteva comprare più di 250 grammi al giorno di pane. Con la Repubblica sociale i grammi scesero a 150, il prezzo salì a 2 lire e 40 centesimi al chilo. Ma le panetterie erano vuote. Il pane si comprava a borsa nera a 25 lire il kg: l’ammontare di una giornata di molti salari.

Decisamente il rapporto di Mussolini con il pane e con la politica annonaria non fu felice, tale da non ispirare né ammirazione né rimpianti. Ma non migliore fu quello con la poesia: i versi della “Preghiera del pane” sono decisamente banali e bruttini. Volendo la bottega di piazza XX Settembre far innamorare i clienti dei suoi prodotti, potrebbe scegliere fra decine di altri componimenti assai più suggestivi. Una fra tutte, l’Ode al pane di Pablo Neruda: «Pane/ Con farina,/ acqua/ e fuoco/ ti cresci./ Spesso e lieve,/ ripiegato e rotondo,/ assomigli/ al ventre/ della madre/ equinoziale,/ germinazione/ della terra./ Pane,/ come sei lieve/ e profondo:/ nel bianco vassoio…».

Livio Berardo, già presidente dell’Istituto storico

della Resistenza di Cuneo

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