Ancora troppe vie e piazze Vittorio Emanuele III

Ancora troppe vie e piazze Vittorio Emanuele III
Pubblicato:
Aggiornato:

Perché i re sono re?, chiedeva Gianni Rodari ai suoi piccoli lettori, amici delle favole in cui principi, principesse, re e regine sono di casa. Poi spiegava: «I re sono re perché lo dicono loro: ma solo fin che la gente, per forza o per amore, gli dà retta. Quando la gente si accorge che i re sono uomini come gli altri, ed è abbastanza forte per cacciarli via, si fa la repubblica».

Era esattamente quanto successo in Italia pochi anni prima, quando un referendum popolare aveva messo fine ad una monarchia, i cui ultimi esponenti non erano stati italiani come gli altri: la loro miopia politica e la mancanza di coraggio, miste all’arroganza di casta e di classe, avevano fatto pagare al paese prezzi pesantissimi. Vittorio Emanuele III aveva cominciato nel 1915, quando con un vero e proprio colpo di Stato aveva, d’intesa con Salandra e Sonnino, trascinato nella Grande guerra un’Italia impreparata, senza tener conto che, come sosteneva Giolitti, si sarebbe potuto per via diplomatica ottenere Trento e Trieste da un’Austria boccheggiante.

Il re “piccolo” non tanto per la statura quanto per gli orizzonti politici, tenne così a balia il fascismo e fu colui che si rifiutò, alla vigilia della marcia su Roma, di controfirmare lo stato d’assedio, predisposto dal ministro Soleri, con cui le truppe regolari avrebbero facilmente spazzato via i drappelli raccogliticci delle camicie nere.

Il Savoia avallò tutte le scelte fondamentali di Mussolini: dal delitto Matteotti alle leggi razziali, dall’aggressione con gas asfissianti dell’Abissina (che gli fruttò la vanagloria di un titolo imperiale) al proditorio attacco alla Francia, alla campagna di Russia... Così fino al 25 luglio, quando, grazie a una sedizione all’interno del Gran consiglio, fece deporre e arrestare il duce... E che dire dell’8 settembre, quando il monarca e Badoglio, annunciato l’armistizio, fuggirono da Roma, lasciando l’Italia e l’esercito senza ordini, in balia dei nazisti?

Rebus sic stantibus, fa davvero specie constatare come oggi in Italia ci siano ancora più di 400 Comuni, in cui una strada o una piazza è intitolata a Vittorio Emanuele III. In Piemonte sono 29, tanti quanti in Lazio, meno che in Sicilia o in Puglia, dove superano la quarantina (ma in Liguria, Emilia, Toscana, Marche, Umbria si contano sulle dita di una mano). Per non correre lontano, una via Vittorio Emanuele III si trova a Revello, Bagnolo, Racconigi, Frabosa Soprana, Montanera e Vinadio.

Poiché la toponomastica non è un mero strumento di recapiti postali, ma una forma di pedagogia storico-sociale (si scelgono nomi meritevoli di memoria, latori di messaggi utili a costruire l’identità di un popolo), non credo che tutti i sindaci e i consiglieri dei comuni citati siano entusiasti di amministrare delle vie che rappresentano un passato così infausto.

Che cosa impedisce allora di procedere ad un cambio del nome? Le complicazioni burocratiche? Il problema principale si risolve entro le amministrazioni stesse: l’adeguamento delle carte di identità e dei certificati. Se poi la revisione del toponimo non viene calata dall’alto, ma coinvolgendo i residenti, le ulteriori variazioni che si rendono necessarie (ad esempio, quelle dei documenti sanitari e fiscali) possono essere portate a compimento con il supporto della macchina comunale.

Archivio notizie
Ottobre 2024
L M M G V S D
 123456
78910111213
14151617181920
21222324252627
28293031