La tradizione saluzzese del maiale fatto in casa

La tradizione saluzzese del maiale fatto in casa
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Nel forzato riposo imposto dall’inverno, in campagna si consuma il rito del maiale “fatto in casa”. Il norcino, che qui da noi non ha nome proprio altrettanto nobile, arriva in cascina all’alba. Coadiuvato dai famigliari ed “esperti” fidati, perpetua gesti e movimenti antichi. Il porcello accresciuto a ghiande e pastoni capisce che il suo destino è segnato. Viene scuoiato, inondato di acqua calda, ripulito delle interiora, diviso in due. Con cuore e polmoni si preparano succulenti portate pret-à-porter, il fegato viene usato per gli involtini rosolati sulla piastra del “potagè”.

E’ un festival di salumeria agricola: così nascono le specialità che ben conosciamo, dalle rose alle filzette ai cacciatorini, dai cotechini alla salsiccia al lardo..

Norcia era l’università dell’arte suina, è dall’Umbria profonda che i norcini si sono diramati in Italia, conquistando la Roma papalina. Paolo V, con bolla del 1615, istituì la Confraternita norcina dedicata ai santi Benedetto e Scolastica. “Massacrin” laureati, benedetti e patentati.

Dicono gli storici che la scienza del maiale abbia spopolato nelle nostre terre sia per la bontà del suino autoctono, sia per le infinite vie del sale che la attraversano. Dato non da poco: l’abbondanza di sale proveniente dalla Provenza ha fatto sì che ogni contrada potesse sbizzarrirsi nell’inventare propri salumi d’eccellenza, e ricette che qui hanno un gusto speciale.

Se alla corte dei Savoia i “batsoà” erano rigorosamente cuneesi, un motivo ci sarà pure stato. È da quella tradizione inesausta che vengono tramandati nelle nostre salumerie portenti di esclusiva originalità.

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