Quanta “provincia di Saluzzo” nei moti carbonari del 1821! 200 anni fa / Con i celebrati Pellico e Santorre di Santarosa altre figure di patrioti locali da riscoprire

Quanta “provincia di Saluzzo” nei moti carbonari del 1821! 200 anni fa / Con i celebrati Pellico e Santorre di Santarosa altre figure di patrioti locali da riscoprire
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Esattamente due secoli fa gli anni ‘20 del 1800 segnarono un periodo di crisi politica per quasi tutti i paesi europei. La simultaneità dei movimenti insurrezionali e delle agitazioni si spiega con l'oggettivo contrasto tra gli ordinamenti politici imposti dalla Restaurazione e gli orientamenti liberali ormai radicati in una parte della borghesia, con le difficoltà economiche seguite alle guerre napoleoniche e con il disagio creato dalla penuria alimentare, particolarmente grave nel 1817-1818. Il monte Tambora, un gigantesco vulcano dell’Indonesia, con una eruzione senza pari, aveva riempito di polveri i cieli di mezzo pianeta. In Europa il 1816 fu un anno senza estate. Quelli successivi furono devastati da gelate invernali e grandinate estive. I raccolti andarono falcidiati.

Le monarchie assolutistiche, rimesse in piedi dal Congresso di Vienna, alla fame e al malessere delle popolazioni offrivano come uniche risposte il bigottismo e la superstizione religiosa, il controllo poliziesco e, al bisogno, la repressione armata.

L’opposizione politica prese così la strada delle società segrete. I movimenti rivoluzionari europei del 1820-1821 furono preparati e preceduti da una intensa attività cospirativa, svolta principalmente dalla Carboneria. L'obiettivo che le “sette” si proponevano era l'instaurazione di regimi costituzionali. Le differenze di orientamento politico tra i vari gruppi di cospiratori non impedirono che la loro azione si svolgesse in modo unitario: la reazione non lasciava infatti scelta nel metodo di lotta e si abbatteva indiscriminatamente su tutti gli oppositori. Liberali moderati e bonapartisti non erano perseguitati meno dei democratici e dei repubblicani.

SOCIETA’ SEGRETE

L'attività cospirativa raggiunse una particolare intensità in Spagna e in Italia. Le società segrete erano penetrate largamente nell'esercito. Dal pronunciamento militare venne quindi la spinta che mise in movimento anche le altre forze liberali e che aprì la via alla rivendicazione di una riforma dello Stato.

Il 1° gennaio 1820 il tenente Rafael del Riego a Cadice chiamò alla rivolta le sue truppe mal pagate. Seguirono l'esempio le guarnigioni di altre città. Il re dovette accettare che fosse rimessa in vigore la costituzione promulgata nel 1812. Ai liberali di tutta Europa sembrò che la congiuntura politica internazionale fosse meno sfavorevole che negli anni precedenti; in alcuni paesi ruppero gli indugi e passarono all'azione.

Nel regno delle due Sicilie la rivoluzione ebbe inizio nella notte tra il 1° e il 2 luglio 1820 per iniziativa di un gruppo di carbonari di Nola. Vi aderirono subito alcuni alti ufficiali di tendenza murattiana, tra i quali la figura più notevole era quella del generale Guglielmo Pepe, che il 6 luglio assunse il comando delle forze ribelli. Il re Ferdinando I fu costretto a promettere la concessione della costituzione.

L’insurrezione meridionale costituì un forte stimolo per i liberali dell'Italia del nord. La minaccia di un intervento delle truppe asburgiche a Napoli fece intensificare gli sforzi per suscitare un moto costituzionale e antiaustriaco in Piemonte e in Lombardia. Ma una “vendita” carbonara fu scoperta a Milano nel 1820. Furono allora arrestati e condannati il musicista Piero Maroncelli, lo scrittore Silvio Pellico, l'attore Angelo Canova. In particolare Pellico rimase rinchiuso dal 13 ottobre 1820 al 18 febbraio 1821 ai Piombi di Venezia; fra aprile e maggio, dimostrando di non possedere la stoffa del rivoluzionario, cederà agli interrogatori degli inquirenti.

L'attività cospirativa in Lombardia fu tuttavia continuata dai cosiddetti Federati, guidati dal conte Federico Confalonieri. Il loro programma prevedeva l'unificazione del Lombardo-Veneto con il regno di Sardegna e la trasformazione della monarchia sabauda in una monarchia costituzionale moderata.

Per realizzare questo obiettivo i liberali piemontesi, anche loro inseriti nell’organizzazione dei Federati, pensarono di poter coinvolgere il principe di Carignano, Carlo Alberto, destinato a succedere al trono (né il regnante Vittorio Emanuele I né il fratello Carlo Felice avevano eredi maschi). I cospiratori di tendenza più radicale, affiliati alla Carboneria ed alla setta buonarrotiana degli Adelfi, erano su questa linea, salvo proporre con decisione il modello costituzionale spagnolo e avere un’idea più precisa della funzione nazionale da imprimere alla rivoluzione subalpina.

Nella notte tra il 5 e il 6 marzo un gruppo di congiurati (Santorre di Santa Rosa, Carlo Emanuele Asinari di San Marzano, Guglielmo Moffa di Lisio, Giacinto Provana di Collegno) ebbe un colloquio riservato con Carlo Alberto nella biblioteca di palazzo Carignano. Spiegarono i loro piani al principe, che promise di adoperarsi presso Vittorio Emanuele I per convincerlo ad attuare i loro propositi.

L’INSURREZIONE

L'erede al trono si recò dal re, illustrò il piano che cozzò contro una intransigente ripulsa. Si trattava di sospendere tutto. Venne diramato l'ordine di soprassedere, ma la notizia del rinvio dell'insurrezione non giunse in tempo a Fossano, dove il capitano Morozzo di San Michele, nel giorno convenuto, e cioè il 9 marzo, fece uscire di caserma le truppe di cavalleria al suo comando. In città non c’era nessuno ad acclamarlo, il colonnello suo superiore non accettò l’idea di affidargli l’incarico di portare i soldati a Torino. Allora Morozzo con pochi uomini si diresse ad Alessandria, la più importante piazzaforte del regno, dove nella notte i costituzionali, guidati dal capitano Ansaldi (originario di Cervere), avevano occupato la cittadella.

Moffa di Lisio galoppò fino a Pinerolo, dove si trovavano i suoi soldati. Li arringò e riuscì a farli insorgere al grido di «Viva Vittorio Emanuele I, Viva la Costituzione». A Pinerolo venne raggiunto da Santarosa e insieme decisero di recarsi a Torino per cercare di tenere sotto controllo la situazione. Nella notte del 10 marzo arrivarono a Carmagnola, dove fecero stampare un proclama in cui si chiamavano i piemontesi alla lotta contro lo straniero.

La sommossa investì altre città: Vercelli, Asti, Ivrea, dove il 13 dicembre il sottotenente Benedetto Allemandi assunse il comando della brigata dei carabinieri e, issato il tricolore, partecipò alla liberazione dei prigionieri politici e all’insediamento di una Giunta provvisoria.

A questo punto Vittorio Emanuele I abdicò in favore del fratello Carlo Felice che al momento si trovava a Modena, ospite del duca Francesco IV. La reggenza passò a Carlo Alberto che si dimostrò titubante sul che fare. Una manifestazione imponente sotto le finestre di palazzo Carignano lo costrinse a concedere la costituzione di Spagna, seguita dalla nomina di un governo provvisorio. In esso Santorre di Santarosa prese il posto del conte Alessandro Saluzzo al ministero della guerra, nominando comandante delle truppe costituzionali il generale Michele Regis.

SCONFITTA E REPRESSIONE

Ma, sconfessato da Carlo Felice, il reggente fuggì clandestinamente a Novara, dove si erano concentrate le truppe fedeli alla monarchia del generale La Tour, insieme ad un esercito austriaco comandato dal maresciallo Bubna. Le due divisioni di costituzionali, comandate rispettivamente da Carlo Asinari di San Marzano e da Carlo Morozzo di San Michele sotto la guida del generale Michele Regis (3, 4 mila uomini) andarono a cozzare contro una forza cinque, sei volte più consistente. L'8 aprile a Novara, dopo un breve scontro e alcune perdite, batterono in ritirata.

La repressione di Carlo Felice, tramite i giudici e i governatori più codini (i nobili Saluzzo della Manta, Galateri, Falletti ecc.), fu spietata: confisca di beni, degradazione, un centinaio di condanne a morte, di cui solo tre eseguite, ma non per sopravvenuti gesti di clemenza, bensì perché gli imputati, per lo più uomini preparati alle marce o a cavalcare, riuscirono a passare le Alpi o imbarcarsi dal porto di Genova. Dalla Francia o dalla Svizzera molti di loro andranno a combattere in Spagna per quella costituzione di Cadice che avevano innalzato come vessillo politico. Si troveranno di fronte non solo le bande di sanfedisti iberici, ma anche i monarchici francesi e in mezzo ad essi il giovane Carlo Alberto, mandato a espiare la sbandata liberale durata qualche giorno o solo qualche ora del marzo 1821.

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