Perché il 19 marzo è bello dire “grazie papà”

Perché il 19 marzo è bello dire “grazie papà”
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Gabriel Garcia Marquez lo ha detto a modo suo: «Ho imparato che quando un neonato stringe per la prima volta il dito del padre nel suo piccolo pugno, l’ha catturato per sempre».

Il 19 marzo è la data da segnare in calendario e che ogni anno corrisponde alla Festa del papà. Nei paesi di tradizione cristiana è concomitante, non a caso, con la ricorrenza di San Giuseppe, figura emblematica di padre putativo che ha accolto la sua missione con umiltà e disponibilità, caratteristiche richieste a ogni papà, chiamato a guidare la vita dei propri figli.

E’ dunque importante omaggiare il genitore con un messaggio di amore e gratitudine per i sacrifici fatti. Dalla letteratura alla musica, tale messaggio è ben presente: la figura del padre accompagna silenziosamente la ricerca e l’analisi di quanti si interrogano sul posto che all’uomo compete, sul suo destino, su un futuro che cerca presagi nel passato.

Al padre si chiede appunto di mediare tra passato e futuro, di traghettare verso il domani quei figli per i quali la sua stessa identità ha senso, di indicare uno spazio in cui la speranza si faccia momento certo e vero. In questa luce, quella paterna è una figura di frontiera, luogo di confronto non facilmente riducibile a definizioni scontate.

Sono tante le parole famose che ormai fanno parte di un vero e proprio repertorio.

In una frase tratta da “A mio padre”, Andrea Bocelli dice: «Ti sembrerà incredibile, ma più ci penso più m’accorgo che assomiglio proprio a te e non sai come vorrei che la forza non ti abbandonasse mai, per averti qui e non arrendermi mai».

«Scusa se è da un po’ che io non ti chiamo più ma sai, sai già come son fatto. Io però ti penso spesso, fortemente come adesso», recita invece la canzone “Ciao pà” di Eros Ramazzotti.

Tra le altre frasi musicali anche quella tratta da “Io e mio padre” di Grazia Di Michele: «Ti prenderei quelle tue mani stanche e ti riporterei nei nostri viaggi senza fine. Più mi guardo e più somiglio a te».

Infine, un pensiero di Umberto Eco: «Credo che si diventi quel che nostro padre ci ha insegnato nei tempi morti, mentre non si preoccupava di educarci. Ci si forma su scarti di saggezza».

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