25 aprile, non è più qui la festa Il rischio della memoria smarrita liberazione Ieri e oggi La pandemia cancella le celebrazioni: così si affievolisce il ricordo della Resistenza

25 aprile, non è più qui la festa Il rischio della memoria smarrita liberazione Ieri e oggi La pandemia cancella le celebrazioni: così si affievolisce il ricordo della Resistenza
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Per il secondo anno consecutivo celebreremo la festa della Liberazione con le restrizioni imposte dalla pandemia. Ci saranno omaggi delle autorità, dei rappresentanti dell’Anpi e delle altre associazioni resistenziali ai cippi e ai monumenti, messaggi commemorativi, ma niente comizi, cortei, fiaccolate. Insomma nessuna manifestazione di massa.

Il 25 aprile è così colpito al cuore della sua essenza di festa popolare e celebrazione collettiva. Con razionale disciplina, attenti al bene e alla salute comune, non possiamo non accettare tutte le restrizioni. Ma dobbiamo essere consapevoli che ciò finisce per essere l’ennesima insidia tesa da una natura matrigna al ricordo della Resistenza.

Già esso deve scontare l’ineluttabile perdita di quasi tutti i protagonisti di quella stagione (per restare nella nostra provincia, solo poche settimane fa se ne è andata la staffetta che dal CLN regionale portò il 26 aprile a Cuneo l’ordine dell’insurrezione, Fernanda Serafini), il ricambio generazionale e l’oblio che il trascorrere del tempo trascina fatalmente con sé.

Ma ancora più pesantemente ha inciso e incide la trasformazione sociale e politica del paese. Non esiste più nessuno dei partiti che promossero la lotta contro i nazifascisti. Sono viceversa in auge forze estranee ai valori dell’antifascismo o addirittura ostili. La facies del cuneese è cambiata profondamente, e non sempre in meglio.

PROVINCIA BIANCA

Era senz’altro la nostra una provincia moderata, incardinata sulla piccola proprietà contadina, con una forte presenza culturale della Chiesa e il predominio politico democristiano.

Ma erano città e paesi, i cui amministratori avevano ben presente il prezzo di sangue che il fascismo aveva fatto loro pagare dal 10 giugno 1940 alla liberazione: 15.500 morti su poco più di 600 mila abitanti. Fra di essi settemila alpini non più tornati dalla Russia, duemila partigiani, quasi mille civili vittime di rastrellamenti o rappresaglie nazifasciste.

Si distinsero alcune grandi figure di sindaci antifascisti. A Saluzzo nel 1946 il primo atto del neoletto avv. Emilio Villa, già presidente del tribunale che aveva condannato a morte il feroce tenente della Rsi Pavan, fu quello di offrire un posto in Giunta alla minoranza socialcomunista, per continuare la politica unitaria del CLN (la minoranza ringraziò, ma per rispetto verso i risultati delle votazioni declinò l’offerta, come altrove, ad esempio a Genova, a parti invertite, fece la Dc).

A Cuneo l’ing. Mario Del Pozzo, quando il Feldmaresciallo Kesserling, vergognosamente liberato, ebbe la spudoratezza di dichiarare che gli italiani, anziché protestare contro la sua scarcerazione, avrebbero dovuto erigergli un monumento, con un consiglio comunale unanime affidò a Piero Calamandrei la scelta delle parole che avrebbero costituito la risposta che Kesserling meritava.

Il successore di Del Pozzo, Tancredi Dotta Rosso, non ebbe remore a gemellare il capoluogo con una città della Germania est, Fürstenberg, dove sorgeva il lager femminile di Ravensbrück. Fu così possibile iniziare i pellegrinaggi ai campi di concentramento, organizzati da Lidia Beccaria Rolfi, Nino Bonelli, più in generale dall’Aned, ed erigere un monumento alle deportate italiane, opera di un artista cuneese e due saluzzesi.

E proprio a Saluzzo nel 1962 un altro sindaco, venuto dalla Resistenza (era stato commissario GL in val Varaita), Lorenzo Burzio, organizzò una grande mostra sulla deportazione.

Dal luglio del 1963 al maggio del ’65, quasi tutti i comuni furono toccati dalle manifestazioni per il 20° anniversario, organizzate dall’Amministrazione provinciale. Apriva i battenti l’Istituto storico della Resistenza, creato, su richiesta dei comandanti partigiani, dalla Provincia in consorzio con tutta una serie di comuni. Presidente provvisorio fu per qualche mese Dotta Rosso, allora assessore provinciale, quindi venne eletto dall’assemblea dei comuni Lorenzo Burzio.

Giova ricordare come i sindaci che venivano dalla resistenza lasciarono il segno anche nella vita amministrativa, costruendo scuole, ospedali, introducendo novità allora viste con diffidenza da molti imprenditori come i piani regolatori, che dovevano mettere fine ad uno sviluppo edilizio disordinato e poco solido: così fecero Burzio a Saluzzo e Angelo Boero a Verzuolo.

In valle Gesso “Aldone” Quaranta sfidava i colossi dell’industria idroelettrica per salvaguardare l’agricoltura e l’ambiente. Del resto le origini del pensiero ecologista in Italia vanno ricercate in protagonisti della Resistenza come Pietro Ferraro e Aurelio Peccei.

ANTIFASCISMO MILITANTE

L’antifascismo dei democristiani (e dei liberali) cuneesi non era meramente celebrativo. Quando nell’estate del 1964 il deputato comunista Giuseppe Biancani e l’ex segretario della Camera del lavoro di Bra Prunotto, entrambi ex partigiani garibaldini, identificarono a Stoccarda il boia di Boves Joachim Peiper, Provincia, comune di Boves e Istituto storico della resistenza formarono un comitato presieduto da Nuto Revelli, per raccogliere le prove e cercar di suscitare nel tribunale distrettuale tedesco quell’attenzione e quel rigore, che in realtà mancheranno.

In occasione delle elezioni amministrative del 1956 il partito neofascista, il Msi, pensò fosse giunto il momento di presentare proprie liste e tenere comizi nella nostra provincia. A Cuneo il segretario Giorgio Almirante fu sommerso da una valanga di fischi da parte di una folla strabocchevole in cui era difficile distinguere il colore politico di chi protestava. Un altro esponente missino cercò di parlare a Bra. Un reparto della Celere, uno speciale corpo messo in piedi dal ministro (antifascista) Scelba, caricò i numerosi contestatori, poi arrestò comunisti, socialisti, ex partigiani.

Il sindaco democristiano Rodolfo Gaia (un ex internato militare) e il giovane attivista Marco Fagnola, presenti alla manifestazione, si autodenunciarono, smascherando così il comportamento fazioso del questore o di chi dirigeva le forze di polizia.

Nell’estate del 1960 le proteste contro il congresso del Msi programmato in una città medaglia d’oro della Resistenza come Genova si diffusero da questa città a tutta l’Italia: invano Adolfo Sarti esortava i suoi compagni di partito a “non fare il gioco dei comunisti”, a convincersi che il pericolo per la democrazia non veniva dal Msi, bensì da sinistra.

A Cuneo e a Saluzzo vi furono manifestazioni antifasciste con una forte presenza democristiana e liberale, mentre la miopia politica di Sarti lo avrebbe portato qualche anno dopo a presentare una domanda di adesione a quella centrale di intrighi che era la loggia P2 di Licio Gelli. Sono vicende che rimandano a una concezione della politica come mero strumento di potere, ad una ambizione protesa verso cariche sempre più elevate, fine a sé stante. Ed è stata questa logica che ha portato nei partiti governativi molti fra le nuove generazioni a smarrire presto i valori della Resistenza e della Costituzione: emblematico quanto successe nel Psi di Bettino Craxi.

Quanto al Pci saranno i successivi, troppo numerosi cambi di sigla, a causare nei continui traslochi ideali smembramenti o perdite dell’archivio genetico, fino alla clamorosa gaffe legata alla nascita del Pd, nel cui statuto mancava ogni riferimento ai principi dell’antifascismo.

LENTO LOGORAMENTO

Questa erosione di valori nella nostra provincia è stata più lenta che altrove. Negli anni ’90 un sindaco proveniente dalle file partigiane come Beppe Marinetti a Racconigi godeva di un vastissimo consenso. Nel 2004 il presidente della provincia Giovanni Quaglia otteneva dal capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi la medaglia d’oro al valor civile a memoria delle 15 mila vittime, elencate e identificate da una decennale ricerca dell’Istituto storico della Resistenza. La decorazione veniva appuntata sul gonfalone cuneese proprio il 25 aprile di diciassette anni fa. Ancora le celebrazioni del 70° anniversario hanno visto una partecipazione larga e diffusa di quasi tutti i comuni.

Negli ultimi tre, quattro anni, quasi all’improvviso, profonde crepe si sono aperte nella memoria collettiva della nostra provincia. Qua e là sui muri sono apparsi simboli e scritte nazifasciste, sui social si sono consumate esternazioni grottesche di esponenti politici e persino di amministratori. Sindaci, vicini alla Lega o a Fratelli d’Italia, hanno deciso di disdettare l’adesione del proprio comune dall’Istituto storico della Resistenza. Le motivazioni sono risibili, per lo più di ordine economico, come se un centinaio o poche centinaia di euro di contributo annuo potessero mettere in crisi un bilancio. In alcuni casi, i social insegnano, non si vuole neppure che la delibera e le motivazioni addotte siano divulgate.

Ricordiamo i nomi di questi comuni: Piasco, Gambasca, Magliano Alpi, Argentera, Pianfei.

O che dire della giunta di Paesana che snobba la proposta di legge contro l’apologia del fascismo avanzata dal comune di Stazzema, perché non contempla anche la condanna del comunismo? Ma sanno gli assessori di Paesana di vivere in Italia e non in Polonia o in qualche altro paese dell’est e soprattutto hanno contezza di quello che è successo nel loro comune alla fine del 1943 o il 2 aprile e il 1° agosto del ’44?

* Ex presidente dell’Istituto

storico della Resistenza

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