Quel 2 giugno del 1946: il voto che divise l’Italia

Quel 2 giugno del 1946: il voto che divise l’Italia
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Tra gli esclusi figuravano i quasi 700 mila elettori di Bolzano e della XII Circoscrizione (Venezia Giulia), ancora in discussione; quasi 400 mila prigionieri di guerra o “dispersi” (l’Urss li restituì col contagocce: trattenne tre generali sino al 1950 come “criminali di guerra”); 500 mila privati del diritto di voto per motivi politici. Inoltre, 1,5 milioni non ricevettero il certificato elettorale.

Sino alla sera del 4 la monarchia parve in vantaggio. Sull'inizio del 5 la repubblica passò in testa. Le edizioni mattutine di alcuni giornali e il ministro dell'Interno, Giuseppe Romita, affermarono che essa era in vantaggio di 2 milioni di voti. I decreti legge istitutivi e attuativi delle votazioni imponevano che gli Uffici elettorali circoscrizionali comunicassero i risultati a quello Centrale e che la somma dei voti venisse annunciata alla presenza della Corte di Cassazione. Il suo presidente, Giuseppe Pagano, magistrato integerrimo, la convocò nella Sala della Lupa di Montecitorio alle 18 del 10 giugno. Dall'8 sacchi di verbali e atti vari affluirono a Roma con tutti i mezzi disponibili.

Nel frattempo, come nei precipitati alchemici, le posizioni si cristallizzarono. I voti assegnati per la Costituente non lasciarono dubbi. Vinsero Dc, Psi e Pci, terzo classificato con grande delusione del suo segretario Palmiro Togliatti. I partiti dichiaratamente o tiepidamente monarchici ottennero pochi seggi. La Corona rimase isolata e sotto assedio.

La sera del 5 la Regina, le figlie e il principe Vittorio Emanuele, di 9 anni, lasciarono il Quirinale per Napoli e l'indomani salparono per il Portogallo. Il segnale era chiaro. Re dal 9 maggio, quando il padre aveva abdicato, Umberto II fu ricevuto da Pio XII. Era la prima visita, ma a molti parve “di congedo”...

Il 10, ascoltata la litania dei voti espressi, Pagano ne prese atto, ma poiché mancavano i dati di molte sezioni rinviò l'adunanza al 18 giugno e, a sorpresa, chiese il rendiconto delle schede bianche e nulle.

Nella notte sull'11 il governo dichiarò che ormai l'Italia era Repubblica. Dopo un braccio di ferro di 24 ore, alle 0.15 di giovedì 13, col voto contrario del solo Leone Cattani, esso conferì le funzioni di Capo dello Stato al presidente del Consiglio. Umberto II lo apprese mentre cenava a casa del senatore Alberto Bergamini.

Che cosa fare? Tra quattro ipotesi (disconoscere il governo e formarne un altro, arroccarsi al Quirinale, trasferirsi da Roma in attesa degli eventi, partire dall'Italia e protestare) scelse la quarta. L'Italia era blindata contro ogni attacco esterno e gli anglo-americani avrebbero soffocato insurrezioni, ma la contrapposizione sanguinosa tra monarchici e repubblicani avrebbe aperto ferite in un corpo già provato. Il comandante alleato in Italia, ammiraglio Ellery Stone, pilatescamente non garantì l'incolumità personale del sovrano: questione interna.

Partito il Re da Ciampino alle 16 del 13 giugno, iniziò il computo affannoso delle schede bianche, nulle, annullate e non assegnate. Documenti sinora inediti provano che, mentre l'Ufficio elettorale centrale esaminava (per modo di dire) 20 mila ricorsi su 35 mila seggi, i dati conteggiati alla carlona furono “avviati” alle calcolatrici. Un brogliaccio conservato all'Archivio Centrale dello Stato prova che mancavano migliaia di risultati definitivi. Poco prima della seduta del 18 giugno, respinti tanti ricorsi di vario rilievo, contro il voto di sei giudici compreso il presidente, la Corte stabilì che “votante” significa “voto valido”, non chi va al seggio e vota: un “colpo” per chiudere la partita con 2 milioni voti di vantaggio per la repubblica.

La massa di schede bianche e nulle disparve dall'orizzonte. La Corte non aveva poteri investigativi e ormai il re aveva lasciato l'Italia. Il 28 la Costituente elesse capo provvisorio dello Stato il monarchico napoletano Enrico De Nicola, tre anni dopo sostituito dal monarchico piemontese Luigi Einaudi.

Il professor Mola, storico di fama, è autore di “Monarchia o Repubblica? Quel 2 giugno del '46”, in edicola con Il Giornale nel giorno della Festa della Repubblica.

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