Dal balcone della Corona Grossa l’investitura dei carri premiati l’amarcord degli anni sessanta

Dal balcone della Corona Grossa l’investitura dei carri premiati l’amarcord degli anni sessanta
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«Negli anni ‘60 ero una ragazzina. Intorno a me in quei giorni, si respirava un'aria pulita e un clima di festa. Erano i giorni del Carnevale».

Con queste parole, inizia il suo racconto la signora Gabriella Maggiora, figlia degli allora titolari del ristorante Corona Grossa, che tiene dentro di se il prezioso ricordo del Carnevale negli anni ‘60, vissuto dalla privilegiata postazione del suo locale, vero fulcro della vita cittadina in quegli anni, dove festeggiamenti, tavolate e incontri non avevano mai fine.

«Era un Carnevale diverso - racconta Gabriella ritornando con la memoria a quei giorni del febbraio 1961, quando aveva 14 anni e frequentava le scuole medie cittadine - non c’erano tanti mezzi a disposizione per creare effetti scenici e coreografici, eppure era tutto così meraviglioso. Ricordo che il municipio allestiva delle bellissime casette in legno fabbricate dalla ditta Bertone. Un anno venivano posizionate alla destra di via Silvio Pellico e l’anno dopo dalla parte opposta. In queste casette - continua la signora - c’erano ragazzi che servivano dei vini di prima scelta per la gente che passeggiava. Era tutto così semplice ma così “ragionato”. Il Corona Grossa dei miei genitori era il punto di ritrovo di tutte le maschere e dei giudici. Non c’era un palco come usa ora - precisa Gabriella -: i giudici salivano sul nostro balcone e dall’alto sentenziavano sul carro più bello».

A questo punto, la signora Maggiora si schiarisce la voce. Prova malinconia, confida che i ricordi le mettono anche un po’ di tristezza per i suoi cari e le tante persone che non ci sono più. Ma è un attimo, perché a prevalere è la memoria festosa di quelle giornate di baldoria che coinvolgevano un’intera città e il territorio.

«Una volta alle feste come il Carnevale - dice Gabriella -, partecipavano tutti. Il “popolo” che durante tutti i giorni veniva differenziato come borghesia e plebe, diventava una cosa sola. La gente delle campagne si fondeva con quella della città. C’erano persone che si divertivano spensierate in quel fiume di risate e coriandoli, che noi abbiamo vissuto a colori ma che ora sono foto in bianco e nero, pur bellissime ed emozionanti».

Non erano molte le occasioni in cui la gente si ritrovava, ma come testimoniano le immagini, quando lo facevano, riempivano le strade. «Tutti insieme e con un unico scopo, ovvero quello che richiede il Carnevale: il divertimento e l’allegria».

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