Domenico Dellerba, l’ultimo reduce che sopravvisse alla Ritirata di Russia È mancato a 97 anni. con il battaglione saluzzo fu in prima linea sul don
Martedì pomeriggio, nella chiesa di Sant’Agostino, si sono svolti i funerali di Domenico Dellerba, 97 anni, uno degli ultimi reduci di Russia.
Dellerba è mancato domenica sera in ospedale a Savigliano, a una settimana di distanza da Natale Giletta, altro reduce saluzzese dell’Armir.
Il caso ha voluto che i due alpini saluzzesi siano morti a pochi giorni dalla ricorrenza della battaglia di Novo Postojalowka, il combattimento nelle pianure del Don che segnò l’inizio del ripiegamento della Cuneense nel gelido inverno del 1943.
Domenico Dellerba era partito a 19 anni con il battaglione Saluzzo, aggregato alla Divisione Cuneense per la campagna di Russia. Visse quei tragici giorni in prima linea, tornò in Italia dove fu richiamato, fatto prigioniero e inviato in un campo di lavoro, prima in Russia, poi a Berlino in uno stabilimento militare della Mercedes.
Al termine del conflitto tornò a fare l’agricoltore a Castellar, prima di trasferirsi a Saluzzo.
Per decenni Domenico Dellerba cercò di tornare a vivere una vita normale, dimenticando gli orrori della guerra. Dal carattere forte e dal portamento signorile, era benvoluto e rispettato. Aveva deciso di iscriversi all’Ana della Valle Bronda, ma raramente partecipava ai raduni e alle commemorazioni.
«Non amava parlare della guerra - aveva raccontato alla Gazzetta la figlia Silvana - nemmeno con noi familiari». Nel 2013 però, accettò di rilasciare un’intervista alla Gazzetta. «Ci pensò a lungo - continua la figlia - poi disse di sì. Tirò fuori il suo cappello da alpino, lo spolverò con cura, sistemò la “medaglia del ghiaccio” (che riporta sul retro l’acronimo Csir “Contingente italiano in Russia”, le date 1941 e 1942, e i luoghi: Dnepr, Donest, Don) e parlò, come non faceva da decenni».
Quello che raccontò erano pagine di un diario mai scritto, episodi di una guerra vissuta sulla propria pelle, dove solo la forza di volontà e l’istinto di sopravvivenza fecero la differenza tra la vita e la morte.
«Penso a quei giorni e mi sento male, ancora oggi a settant’anni di distanza - rivelò alla Gazzetta -. Perché chi ha parlato molto ha visto poco. Chi davvero era lì, in mezzo ai morti e al dolore, si è sempre rifiutato di raccontare tanta tragedia e sofferenza. Fino a dicembre, in Russia, fu semplice. Controllavamo il fronte, poi a gennaio la situazione precipitò. Se avessimo ripiegato anche solo il giorno precedente il 17, avremmo subìto molte meno perdite».
Dellerba quel giorno era in prima linea e il suo fu uno degli ultimi gruppi a lasciare il fronte. Era nel Battaglione Saluzzo.
«Impiegammo due settimane per uscire dalla sacca - raccontò -. I russi ci avevano accerchiati, di giorno si marciava sotto l’artiglieria, di notte venivamo attaccati dai partigiani della steppa. Ho perso tutti gli amici, non ho mangiato per dieci giorni. Poi ci è stata data una pagnotta: eravamo in sedici. Eravamo sfiniti. Di notte i russi ci lasciavano entrare nei piccoli villaggi in cerca di rifugi, poi attaccavano prima dell’alba. Un giorno, sbandato, finii in un gruppo di case occupato da tedeschi in ripiegamento. Mi cacciarono fuori, così mi rifugiai in un letamaio, l’unico luogo dove poter tenere i piedi al caldo. Sentii degli spari nel cuore della notte. Erano i russi, uccisero tutti quelli che erano nelle dacie. Mi salvai per miracolo. Una volta - prosegue il racconto di Dellerba - elemosinai un tozzo di carne da alcuni alpini della Tridentina che avevano trovato un piccolo maiale. La mangiai cruda, con avidità. Per interi giorni mi nutrii solo di neve, radici e pochi cucchiai di minestra. Uscii dalla sacca russa solamente il 5 febbraio. Negli occhi avevo le immagini di centinaia di cadaveri, feriti, corpi straziati».
Ricordi che l’alpino saluzzese tenne dentro di sé fino al 2013.
«Dopo la guerra - disse quel giorno nel corso dell’intervista - tutti volevano sapere cosa era successo in Russia. Chi aveva combattuto con la baionetta, visto la morte in faccia decine di volte come me non aveva voglia di parlare. Non si era più persone».
Ma dopo tanti anni, e dopo quel racconto fiume rilasciato alla Gazzetta, qualcosa cambiò. Dellerba ricominciò ad essere presente alle adunate e alle commemorazioni, sempre accolto con rispetto dalle autorità militari, ricambiato con un sorriso e con la signorilità nel portamento che lo hanno sempre caratterizzato.
«Alle adunate - diceva allora - capita di incontrare reduci di Russia che hanno la Medaglia del Ghiaccio. Basta uno sguardo per capirci. Fu il generale Battisti ad inviarla a chi, sul Don, aveva combattuto in prima linea. Scelse i nomi con cura, la concesse a chi aveva davvero vissuto la tragedia del ripiegamento. È un onore oggi mostrare questa medaglia, ma anche un segno che mi fa ripiombare in quei giorni da incubo».
Dellerba fu anche insignito della Medaglia al Valor militare. Vedovo da 6 anni di Giovanna Risso, lascia le figlie Silvana, Pierina e i nipoti Marco e Silvia.