riconoscimento a Raffaele gaeta

Così la peste bianca uccideva nel ‘700

Premio internazionale a Raffaele Gaeta. Il lavoro sulle mummie del paleopatologo saluzzese

Così la peste bianca uccideva nel ‘700

La Paleopathology Association, nel corso di un’assemblea internazionale a Cuzco, in Perù, ha assegnato a Raffaele Gaeta, medico originario di Saluzzo, il prestigioso “Jane E. Buikstra Early Career Award”, riconoscimento destinato ai ricercatori che hanno concluso da pochi anni il dottorato e che si sono distinti per contributi di rilievo nel campo della paleopatologia.

Gaeta lavora oggi all’Aoup (Azienda ospedaliero-universitaria pisana), nell’unità operativa di Anatomia patologica 2 diretta da Vincenzo Nardini, e si è visto attribuire il premio per lo studio “Histology of pulmonary tuberculosis in a 19th-century mummy from Comiso (Sicily, Italy)”, pubblicato nel 2024 dall’International Journal of Paleopathology (Elsevier).

La ricerca sulla “peste bianca”L’articolo è frutto di un lavoro multidisciplinare coordinato da Valentina Giuffra, ordinaria di Storia della Medicina e direttrice della Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa. Con Gaeta hanno collaborato Giacomo Aringhieri (radiologo), Antonio Fornaciari (archeologo, figlio del celebre paleopatologo Gino Fornaciari) e Frank Maixner (microbiologo dell’EURAC Research Institute for Mummies Studies di Bolzano).

Gli studiosi hanno esaminato la mummia di un frate del XIX secolo conservata nella chiesa di Santa Maria della Grazia a Comiso, in Sicilia.

Le indagini radiologiche, istologiche e immunoistochimiche hanno portato all’individuazione di sette noduli calcificati nei polmoni, circondati da tessuto fibroso e contenenti materiale necrotico di probabile natura caseosa: segni inequivocabili di tubercolosi.

Una scoperta che non solo conferma la diagnosi su un singolo individuo, ma contribuisce a comprendere meglio la diffusione della “peste bianca” nell’Ottocento, quando la malattia raggiunse il suo apice in Europa.

Nonostante i tentativi di recuperare una parte del dna antico non abbiano dato risultati, il quadro clinico ricostruito è considerato solido e apre nuove prospettive di ricerca.

MARCHESI E CONDOTTIERI

Gaeta, oggi allievo e collaboratore di Gino Fornaciari, non è nuovo a ricerche che hanno fatto parlare di sé. Nel 2013 fece parte dell’équipe della Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa che, a cinquecento anni di distanza, ha chiarito la causa di morte di Giovanni de’ Medici, detto delle Bande Nere, celebre condottiero del Rinascimento e padre di Cosimo I, fondatore della dinastia dei Granduchi di Toscana. Dalle indagini emerse che la morte non fu dovuta a ferite di battaglia, ma a una setticemia.

Un anno dopo, tra il 2014 e il 2015, Gaeta partecipò al progetto “I Marchesi di Saluzzo in San Giovanni”, promosso nella sua città natale grazie a un finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo. In quell’occasione furono condotte indagini sulle sepolture e sui resti bioarcheologici dei marchesi, intrecciando archeologia e scienze della vita per riportare alla luce la storia della nobile famiglia che dominò il marchesato.

NEL DIRETTIVO

Oltre al recente premio, Gaeta è stato eletto nell’agosto scorso nel consiglio direttivo della World Mummy Studies Society, associazione internazionale nata per promuovere ricerca e divulgazione negli studi sulle mummie. Dal lavoro sulle cripte rinascimentali a quello sulle chiese siciliane, passando per le radici saluzzesi, il percorso di Raffaele Gaeta racconta come la paleopatologia non sia soltanto lo studio di antiche malattie, ma un modo per illuminare la storia delle comunità e dei territori. Un approccio che oggi riceve un importante riconoscimento internazionale.

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