Ferdinando Scianna cammina piano tra le sale della Castiglia, osserva le proprie fotografie con un sorriso che è insieme affetto e distanza. È lui stesso a guidare i visitatori attraverso la mostra che racconta il suo decennio nella moda, quello nato quasi per caso nel 1987, quando due giovani stilisti emergenti, Domenico Dolce e Stefano Gabbana, gli chiesero di fotografare una collezione.
«Non sapevo nulla di moda – ricorda Scianna, fermandosi davanti al celebre scatto di Marpessa con i bambini siciliani -. Non ho mai saputo che foto fare. La trovavo sul posto, come un reporter. Queste foto nascono dal fatto che succedevano delle cose».
La voce di Scianna, fortemente segnata dall’accento siciliano, riempie lo spazio quanto le immagini in bianco e nero che lo circondano. Parla come se stesse dialogando con le sue fotografie, a volte con ironia, a volte con tenerezza.
«Quando ti chiamano dopo un servizio – scherza -, anche per una critica, vuol dire che è andata bene, che qualcuno si è accorto di te».
A chi lo interroga sul suo modo di lavorare, risponde: «Non c’erano pose, non c’erano set. C’erano le persone, i luoghi, la vita. E c’erano gli abiti, certo, ma era il mondo a dare un significato al vestito. Se non c’è il racconto, non c’è niente».
Davanti alla foto in cui Marpessa si mette in posa, di fronte a un bambino che finge di fotografarla, Scianna si ferma più a lungo. «Non la conoscevo. La scelsi da una fototessera. La vidi e capii che aveva dentro la mia idea di bellezza: forte, antica, mediterranea. Con lei ho passato giorni interi in Sicilia, tra la gente, cercando di far vivere la moda nella realtà, non di imporle una cornice. Cos’è una foto di moda, dopotutto? È una persona vestita che gira per il mondo».
Ogni foto diventa un pretesto per una riflessione più ampia. Sul mestiere, sullo sguardo, sulla fotografia stessa.
Scianna non ama definirsi fotografo di moda. «Io sono un fotoreporter che ha fatto anche moda. Se guardate i giornali, vedete la ripetitività, la patina. Ma la mia fotografia, anche quando parla di vestiti, vuole usare parole diverse, vere, originali. È un paradosso, certo, ma nella moda ho trovato la possibilità di raccontare ancora la vita».
La mostra segue tutto quel periodo, quasi dieci anni di lavoro tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta. Oltre alle immagini per Dolce&Gabbana, compaiono collaborazioni con Vogue, Vanity Fair, Stern, Grazia, e ritratti che rivelano la stessa tensione etica del reporter di Bagheria.
«Fotografia e letteratura, etica e stile, tutto si mescola – dice Scianna -. L’importante è non mentire mai all’immagine. Io non ho mai fotografato per celebrare la bellezza. Ho sempre cercato la verità, anche quando era vestita».
Nel percorso espositivo, curato con rigore, si alternano sequenze narrative: la Sicilia barocca e mistica, le processioni, le piazze assolate, i volti femminili che sembrano usciti da un racconto di Sciascia. La moda, in questo contesto, diventa linguaggio di un Sud che parla al mondo. «Le mie foto di moda – confida Scianna – potrebbero stare nell’album di famiglia. Perché sono storie, non cataloghi. Non ho mai cercato di dire “che belli questi abiti”, ma “che bella questa gente, questo posto, questo momento”. Il vestito, da solo, non significa nulla. È la vita, intorno, che gli dà senso».
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