1871, le cronache sul vaiolo a Saluzzo
Nel periodo 1871-1874 una grave sventura si abbatté su tutta l’Europa e non risparmiò la città di Saluzzo: l’epidemia di vaiolo. Era codesta una malattia che aveva origini antiche e che si ripresentava puntualmente a reclamare le sue vittime. Si ritiene che il vaiolo sia comparso nella popolazione umana nel X millennio a. C. Tracce di vaiolo furono scoperte sulla mummia di Ramesse V (morto nel 1557 a.C.), a dimostrazione della vetustà del morbo.
Esso imperversò in Europa nel XIX secolo con le epidemie del 1824-29, 1837-40, 1870-80. Si trasmetteva con stretto contatto con le persone malate oppure attraverso oggetti contaminati. Il periodo di incubazione variava da 10 a 14 giorni. I primi sintomi erano, inizialmente, simili all’influenza: febbre elevata, spossatezza, dolori alle ossa e alle articolazioni. Subentrava quindi un eritema diffuso a tutto il corpo; dopo 2-4 giorni faceva la sua comparsa un’eruzione che interessava le mucose e la cute e che si trasformava progressivamente in macule, papule e pustole, che evolvevano infine in croste nerastre. La durata della malattia, nei casi benigni, era di circa 15 giorni e lasciava, spesso, cicatrici deturpanti.
Anticamente, soprattutto nei paesi orientali, si riuscivano a mettere in pratica metodi di prevenzione seguendo tecniche diverse. I cinesi insufflavano nelle narici polvere di croste vaiolose della fase terminale della malattia; in India i bramini praticavano l’inoculazione, introducendo sotto la pelle sottili fili impregnati di materia vaiolosa, oppure frizionavano la pelle escoriata con tessuto impregnato di pus vaioloso. Gli europei nel XVIII secolo inoculavano sottocute la polvere delle croste vaiolose, per mezzo di sottili aghi (vaiolizzazione).
Fu un medico inglese, Edoardo Jenner, a produrre il primo vaccino anti-vaiolo, nel 1798, dopo 22 anni di studi. Egli scoprì una modalità di prevenzione della malattia basata sull’innesto del virus del vaiolo bovino sulla cute umana. Poiché era difficile reperire e conservare correttamente le croste delle pustole del vaiolo bovino per vaccinare intere popolazioni, Jenner aveva dovuto ricorrere alla vaccinazione braccio a braccio, che consisteva nel trasferire del materiale di origine bovina da individuo vaccinato a individuo da vaccinare, procedura che presentava il rischio di propagare altre malattie umane, quali la sifilide, premesso che anche la vaccinazione animale non escludeva la possibilità di trasferire nell’uomo i germi del carbonchio e della tubercolosi. Il 29 dicembre 1870 il cav. dott. Martorelli, in una relazione sull’epidemia vaiolosa in Torino, letta nel Consiglio Provinciale di Sanità, dibatteva, con argomentazioni precise e approfondite, la questione delle vaccinazioni umane e animali, del vantaggio delle suddette, nonostante i possibili rischi, e della necessità di ricorrere alle rivaccinazioni per vanificare il diffondersi del morbo.
Confrontando procedure di interventi di vaccinazioni differenti di varie città, come Napoli, Milano, Parigi, arrivava alla conclusione di ritenere da preferire e continuare la profilassi della vaccinazione braccio a braccio che, a suo avviso e in base alla sua esperienza di vaccinazione di ben 6 lustri, non aveva dato esito a nessun caso di celtica infezione (sifilide). Quando il vaiolo fece il suo ingresso anche a Saluzzo fin da gennaio del 1871, i medici monitorarono con attenzione i malati e riferirono con puntualità al sindaco i casi che si verificavano, di modo che l’amministrazione sanitaria potesse redigere degli elenchi dettagliati dei vaiolosi, indicando tutti i dati necessari e, in particolare, gli esiti finali della malattia, che spesso portava al decesso ma che, in buona parte, soprattutto tra i vaccinati e i rivaccinati, si risolveva con la guarigione.
Molti venivano curati a casa ma alcuni venivano anche ricoverati nell’ospedale civile. Degno di menzione risulta il referto di un medico, il dottor Cesano, che, nel mese di luglio, scriveva al sindaco la seguente comunicazione: «La famiglia Busano è composta di 14 individui cioè il padre e la madre, otto figli maschi e quattro femmine. Il padre e la madre soffrirono in passati giorni leggieri indisposizioni delle quali guarirono, gli otto figli furono attaccati dal vajuolo confluente gravi. Perciò il primo guarì, il secondo si trova in pericolo, il terzo ed il quarto morirono, gli altri sono in corso di malattia e lasciano sperare un miglior esito; delle quattro figlie tre sono eziandio affette e queste pure presentano sintomi meno gravi. Eccole illustrissimo signore lo stato di quella desolata famiglia…».
Ma la famiglia Busano non fu la sola che subì perdite dolorose. Il morbo entrò, con vigore diverso, in molte case, lasciando il suo indelebile segno e imperversando per quasi tutto l’anno e negli anni a seguire, sempre con minor virulenza, fino a scomparire del tutto nel 1874.
“Dal Rosa al Viso”