Come cambia il funerale al tempo del coronavirus La triste morte in solitudine
C’è una tragedia nella tragedia di questi giorni di pandemia da Coronavirus. E’ quella che vivono coloro che vengono ricoverati in ospedale senza più vedere nessuna delle persone della loro quotidianità, della loro sfera più intima di affetti e che poi - abbiamo vissuto da vicinissimo un caso del genere - magari, ed altrettanto soli, muoiono, senza il conforto di una mano che carezzi la loro o delle benedizione di un sacerdote nel momento del trapasso.
E vengono sepolti, tumulati oppure cremati in altrettanta tristissima (per chi se ne va e per chi resta) solitudine: il virus maledetto, infatti, oltre a uccidere, vieta anche a familiari e amici di poter accompagnare il proprio caro nell’ultimo viaggio. Funerali in forma strettamente privata si sarebbe detto un tempo, presenti un numero di persone il più esiguo possibile.
Lo richiede un’ordinanza del ministero della Salute che, dal primo di aprile ha intimato a sacerdoti, personale medico e paramedico ed imprese di onoranze funebri di seguire scrupolosamente la norma che prevede che ogni persona deceduta possa essere portatrice (anche se non accertato) di contagio di Coronavirus, e come tale deve essere trattato.
Dunque non solo niente cerimonia funebre né corteo, ma un protocollo di trattamento della salma che non è più di competenza delle pompe funebri, ma deve adeguarsi alla normativa e che prevede che il defunto - prima della sua chiusura nella bara - debba essere manipolato nel pieno rispetto delle misure di sicurezza atte ad evitare il contagio. Questo vuol dire niente vestizione, trasporto a feretro aperto, e niente tanatocosmesi il taglio di unghie, di capelli, della barba ed il lavaggio del corpo).
Il defunto, vestito così com’era nel momento della morte, viene semplicemente avvolto in un lenzuolo e disinfettato, messo in un sacco apposito e poi depositato nella bara, che verrà immediatamente sigillata e sottoposta a sanificazione.
Che tristezza!