Personaggio L’artista di Venasca racconta com’è nato il capolavoro Nazer: «Quel quadro mi è venuto di getto» «Il coronavirus ha cambiato la vita di tutti: con “Libera nos” ho espresso tutto il mio sgomento»

Personaggio L’artista di Venasca racconta com’è nato il capolavoro Nazer: «Quel quadro mi è venuto di getto» «Il coronavirus ha cambiato la vita di tutti: con “Libera nos” ho espresso tutto il mio sgomento»
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L’opera di Fausto Nazer che apre questa edizione della Gazzetta di Saluzzo, un quadro-capolavoro che illustra la condizione umana ai tempi del coronavirus, rappresenta una svolta nell’attività del pittore di Venasca.

«Mi conoscono tutti per i miei quadri che hanno come tema la pioggia, i paesaggi metropolitani, le figure femminili che sfilano nella città sotto l’ombrello. In questa fase segnata dal virus, ho sentito il bisogno di fare una cosa diversa: troppa l’emozione e lo sgomento suscitati dalla pandemia. Ho lavorato d’istinto, realizzando il quadro di getto e poi perfezionando i particolari. Mi mancava il nome. Con gli amici che per primi lo hanno visto si è optato per “Libera nos”, un grido di dolore elevato verso l’alto, in cerca di protezione e conforto».

Nazer ha intenzione di donare la sua opera, una volta superata l’emergenza. «Ho qualche idea a chi donarlo - dice - ma ne parleremo più avanti: per me “Libera nos” è come un altro figlio, un parto artistico che mi è costato sofferenza».

Intanto il critico Michele Franco, che segue Nazer da tempo, dopo aver visto l’opera ed esserne rimasto folgorato, ha voluto subito scrivere una critica “col cuore in mano”.

«Il “pugno pittorico” di Nazer arriva dritto alla pancia, intesa come luogo viscerale e sanguigno delle emozioni più intense. Accumulata in mesi tremendi per tutti, fermentata dal dolore, lievitata nello smarrimento, maturata nella coscienza del momento, sviscerata infine nella dimensione pittorica liberatoria irrrompe su tela tutta la consapevolezza dolente del pittore-uomo Nazer. L’artista ha creato un documento sofferto e partecipato per i posteri, uscendo dalle sue prospettive abituali per rappresentare lo sguardo di chi osserva da altra dimensione, lo sguardo del Dio che guarda la sua umanità sofferente e disperata...».

Prosegue Franco: «Con la costruzione prospettica, il taglio del dipinto che “costringe” la scena in uno spazio limitato in cui pare manchi l’aria, i soggetti compressi e bloccati dai perimetri del dipinto, il pittore piega al meglio la tecnica per rendere visibile il senso d’oppressione di massa innescata dal morbo, visualizzando perfino la mancanza di aria fisica e luce divina che rendono ancora più furoreggiante il dramma colto nell’acme dell’epidemia... Come fa ogni artista, Nazer non dà risposte, ma pone domande lasciando libera l’interpretazione... Su tutto emerge la solitudine che la malattia ha portato: ogni protagonista del quadro è solo... Tutti siamo vittime. Tutti siamo un poco morti. Tutti siamo un poco sopravvissuti. Tutti siamo nell’angoscia della solitudine: e allora ecco alzarsi quell’urlo “Libera nos”».

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