Cinquant’anni fa nasceva lo Statuto dei lavoratori
La data del Primo Maggio è diventata la festa dedicata ai lavoratori, al successo delle loro lotte contro gli eccessi padronali e contro l’ingiustizia, spesso presente sui luoghi di lavoro.
In particolare, il Primo Maggio rievoca l’ottenimento di uno dei diritti fondamentali dei lavoratori, ovvero la riduzione della giornata lavorativa a otto ore, rivendicazione che in quella ormai lontana stagione aveva assunto un valore simbolico diventando la bandiera da sventolare.
L’idea della celebrazione di questa data risale indietro nel tempo, e precisamente al 1889, quando si svolse il congresso della Seconda Internazionale, movimento politico di ispirazione socialcomunista, a Parigi.
La ricorrenza nacque dunque dall’esigenza di ottenere la diminuzione dell’orario lavorativo, mentre divenne evento simbolo, da celebrare ogni anno, soltanto a partire dal 1° maggio 1891.
Tuttavia, l’ufficializzazione di quella celebrazione non ha significato tout court un miglioramento delle condizioni generali dei lavoratori, che infatti hanno continuato a lottare, anche nel XX secolo, per poter ampliare la sfera dei loro diritti.
Circa mezzo secolo fa l’Italia e il Piemonte erano stati interessati da aspri scontri sindacali, tra il ’68 e i primi anni ‘70.
In particolare, centro delle lotte sindacali per lungo tempo era stata Torino, la città-emblema del progresso industriale nazionale, sede della Fiat e luogo in cui lavoravano decine di migliaia di operai.
I ritmi dello sviluppo industriale di quel periodo non tenevano conto di un principio basilare, ossia del fatto che i lavoratori erano persone, con la loro vita, la loro dignità, i loro spazi da dedicare alla famiglia, allo svago e al tempo libero e che avevano i loro diritti salariali e sindacali.
La Fiat, lo stabilimento di Mirafiori in particolare, era diventato l’epicentro delle lotte operaie, dal ’68 in avanti. E infine, il 20 maggio del 1970, al culmine di quel lungo e controverso periodo che è passato alla storia come “Autunno caldo”, veniva ufficialmente approvata la legge 300, nota come “Statuto dei lavoratori”.
L’approvazione di quella legge, pietra miliare per i diritti dei lavoratori, tuttavia non significò la fine delle lotte, che infatti continuarono ancora fino alla fine degli anni ’70, ma rappresentò il riassunto, in un unico documento, di tutta una serie di rivendicazioni che erano iniziate negli anni ’50, in conseguenza dei comportamenti scorretti da parte dei datori di lavoro.
La mediazione politica, attuata da esponenti politici come il democristiano Carlo Donat–Cattin, allora ministro del Lavoro, e il socialista Gino Giugni, fu fondamentale per giungere allo Statuto, oltre che per il rinnovo del contratto nazionale di categoria dei metalmeccanici.
Possiamo definire la legge 300 del 1970 come la “costituzione” dei lavoratori. Nello Statuto dei lavoratori venivano infatti codificati in legge e disciplinati: la libertà e la dignità personale dei lavoratori (articoli 1-13), la libertà sindacale (14-18), l’attività sindacale (19-27) e il collocamento (33-34).
Alcune norme necessitano forse di un adattamento alle mutate esigenze del mondo lavoro, ma i capisaldi giuridici di quella legge restano, ancora oggi, a distanza di cinquant’anni, la “magna carta” per ogni trattativa sindacale.