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Madre Elvira e Lourdes, l’incontro con la perseveranza

Madre Elvira e i missionari di Lourdes, un'incontro unico

Madre Elvira e Lourdes, l’incontro con la perseveranza
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Quando, alla fine degli anni ‘70, suor Elvira si rese conto di essere chiamata dalla volontà divina a lavorare per i giovani preda della droga e gli emarginati, l’inizio non fu certo facile. Oltre agli inevitabili problemi organizzativi, burocratici ed economici  che avrebbe dovuto affrontare per garantire la sopravvivenza della futura comunità , la giovane suor Elvira doveva trovare il modo per convincere le autorità ecclesiastiche della bontà e fattibilità del progetto che  proponeva loro.

“La chiamata che viene da Dio ti rende capace di credere e di compiere cose che tu stessa non avresti mai pensato né immaginato”. Era solita ricordare  madre Elvira quando parlava di quei momenti “ Non era facile per me spiegare ai miei superiori ciò che sentivo e altrettanto non era facile per loro, me ne rendo ben conto, credere che quello che chiedevo venisse veramente da Dio. Ho domandato più volte, per parecchi anni, di poter aprire una casa dove accogliere questi giovani, e in risposta mi venivano giustamente evidenziati i miei limiti e le mie povertà: non avevo studiato, non ero preparata... era tutto vero, ma dentro di me si era scatenato un vulcano che non si spegneva più e sentivo che dovevo dare una risposta a quel Dio che mi stava arricchendo di un dono non mio da restituire ai giovani”.

La sua perseveranza fu premiata, quando, nel 1983 ottenne in comodato gratuito dal comune di Saluzzo  un edificio abbandonato sulla collina della città. Erano quelli gli anni in cui  l'eroina mieteva  vittime e madre Elvira ebbe l'intuizione di creare una comunità per giovani emarginati e  tossicodipendenti che chiedevano aiuto ma, molto spesso erano  malvisti dalla stessa società che avrebbe dovuto aiutarli.

Nonostante i primi passi incerti e gli inevitabili errori,  suor Elvira non si è arresa, intimamente convinta che “le opere di Dio nascono nel silenzio e non fanno rumore”.  E’ stati così che, “contaminati”  dall'incontro con lei e la sua sconfinata fede, i  giovani accettarono,  ed accettano ancora oggi,  coscienziosamente le sue regole: pregare, lavorare e condividere la vita, perché i centri da lei fondati non sono “comunità terapeutiche”, ma “ scuole di vita”. Ad ognuno è affidato un compito specifico per riscoprire il valore della fatica vissuta con onestà e senso di responsabilità. Una volta alla settimana c'è il “resoconto di vita” dove ci si incontra  in piccoli gruppi per condividere i successi e gli insuccessi dei giorni precedenti ma sempre fiduciosi che, anche se piccoli, duri e sudati i miglioramenti  sono presenti.

Lei, madre Elvira, non si è mai tirata indietro. Ha incontrato Papi, cardinali, vescovi impressionandoli con la sua umanità e il fuoco che aveva negli occhi. Ha sempre lottato per i suoi giovani e per le comunità che lentamente stavano aumentando di numero sfidando spesso lo scetticismo  di chi aveva difronte.

Come ricorda in un’intervista per un settimanale locale,  Cesare Parola, ex presidente dell’Opera Federativa Trasporto Ammalati a Lourdes (Oftal) di Cuneo, che è stato molto  vicino a madre Elvira, soprattutto  nel momento della fondazione della prima comunità  a Lourdes:

“Siamo venuti la prima volta insieme a Lourdes all’apertura della prima comunità. Insieme siamo andati a presentarci all'allora vescovo. Ci accolse in modo estremamente freddo. Ci disse testualmente: 'Lourdes non è un posto per drogati e vagabondi’. Ci diede il permesso di tenere questa comunità per un anno di sperimentazione. Temeva che la presenza di tossicodipendenti avrebbe potuto disturbare l’atmosfera di Lourdes. Madre Elvira, uscita da quell’incontro mi disse in piemontese: 'Sagrinte nen’. Dopo poche settimane i ragazzi si erano fatti conoscere per la loro presenza riservata e di preghiera intensa. La cosa si risolse pacificamente”.

Concludiamo  ancora  con le parole di madre Elvira:  “Non è stato difficile aspettare, piuttosto è stato sofferto perché mi sembrava di perdere tempo, ma ho atteso con tanta fiducia, pazienza e speranza. [ … ]  Adesso ragiono un po’ di più e capisco che tutta questa attesa è stata una benedizione, sono state le doglie del parto. La tenacia e la pazienza che Dio mi ha donato sono state il sigillo della sua paternità su quello che stava nascendo»

 

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