Mamma e nonna ha dedicato la sua vita a dio e riceve chiunque ne senta il bisogno Suor Paola: «Volevo fare l’eremita ma a Pra ‘d Mill non sono mai sola»
Paola Biacino è una persona che ha preso i voti, è una suora sui generis.
Mamma, guida spirituale, sta provando a fare l’eremita da diversi anni nei boschi di Bagnolo, non lontano dal monastero di Pra ‘d Mill dei nuovi cistercensi. “Sta provando” non è un termine casuale perché la sua condizione da eremita è tutt’altro che fatta di solitudine: suor Paola non è mai sola. C’è chi bussa alla sua porta in piena notte in lacrime per avere un attimo di confronto, gruppi di giovani che organizzano ritiri spirituali nella sua casa, chi si presenta alla sua porta con una donazione. Perché suor Paola vive così, affidandosi alla Provvidenza, una forza così dirompente che da una piccola stanza fredda l’ha portata man mano ad avere una casa e persino delle stanze in più da poter condividere con chi ha bisogno di re-imparare a pregare, di trovare Dio. Perché se è pur vero che suor Paola non è mai da sola, con lei c’è sempre e costantemente Dio.
Ma perché proprio a Bagnolo?
«Io sono arrivata qua perché cercavo… cerco, non cercavo, Dio. E Lui mi ha portato qui in questo posto sperduto dove posso portare avanti la mia ricerca. Non ho scelto di venire qui, sono stata attratta qui e l’ho seguito, così come faccio da tutta una vita. Se un giorno mi vorrà altrove... andrò dove vorrà».
Che cosa fa un’eremita come lei nei boschi di Pra d’ Mill?
«La mia vita è semplice, tra lavoro e preghiera. Un lavoro come quella di ogni donna di casa, insieme alla scrittura delle icone che è un modo di pregare bellissimo. Poi faccio legna, perché da queste parti d’inverno fa freddo. Anche se il mio lavoro principale con il passare del tempo è diventato quello dell’accoglienza, di parlare, ascoltare e pregare con chi ne ha bisogno. Ci sono giorni in cui parlo tutto il giorno e arrivo a sera che mi dico “Caspita, oggi non ho recitato i Vespri”… ma in fondo è come se avessi parlato con Dio (e di Dio) tutto il giorno».
Come ha capito che doveva dare una svolta alla sua vita? In fondo lei ha una famiglia alle spalle...
«A 7 anni io sapevo che dovevo consacrarmi a Dio: l’anno in cui ho fatto la Prima Comunione e la Cresima. Quel giorno ho promesso a Dio che sarebbe contato solo lui per me, nient’altro. Poi Dio ha scelto per me che a 17 anni mi sposassi, una cosa impensabile per me. E poi 3 figlie, una dietro l’altra, e appena sono diventate indipendenti ho ripreso in mano il mio sogno e la mia promessa a Dio. In realtà la missionaria l’avevo già fatta: non c’è missione più grande che diventare mamma».
Solitamente la consacrazione a Dio avviene però in monastero. Perché l’eremo?
«Volevo entrare in monastero, ma non mi “incastravo”, mi sentivo come in un vestito non della mia taglia: mi sono fermata e mi son detta “Vediamo Dio cosa ha in serbo per me, altrimenti faccio la nonna”. Durante la preghiera mi è venuta in mente la parola “eremo”, una parola che forse avevo usato una sola volta nella mia vita. Ho iniziato così una ricerca del senso di questa parola, ho iniziato a cercare la solitudine, ho cercato una montagna e sono finita qui a Bagnolo. Il monastero c’è, qui vicino e mi permette così di avere la messa, e nel frattempo tra una cosa e l’altra sono 16 anni che sono qui».
Che vocazione ci vuole per diventare un’eremita?
«La mia vocazione non è solo mia, la mia vocazione è di quattro persone: mia e delle mie 3 figlie. Se loro non fossero state d’accordo io non avrei mai intrapreso questa strada. Invece loro hanno accolto il mio desiderio con gioia e così sono finita a fare l’eremita».
Un’eremita “di compagnia”?
«Non sono mai sola. Scherzo sempre dicendo che non ho mai messo nessuna targhetta fuori dalla porta dicendo che sono qui, eppure da quando sono arrivata è un continuo via-vai di gente. Alla faccia della vita eremitica! Studiando ho letto però che “l’eremita è tale nella misura in cui lo cercano” ed è stata per me una conferma: questo è quello che vuole Dio da me».
Quindi possiamo dire che lei è “un’eremita moderno”?
«Non è più il tempo di fare l’eremita per come lo abbiamo sempre pensato: come dice anche Papa Francesco, l’eremita, così come la Chiesa, ha bisogno di uscire. Se mi chiamano a predicare anche altrove io vado, anche se l’attività si svolge spesso qui all’eremo in cui vengono organizzati ritiri o incontri con giovani e meno giovani. La varietà delle persone che mi vengono a trovare è immensa».
Chi bussa alla sua porta?
«Le persone che vengono qui cercano risposte, vogliono imparare o re-imparare a pregare. Oppure semplicemente vogliono due orecchie e un cuore aperto che le ascoltano. C’è chi porta drammi importanti, dalla morte di un figlio a persone che hanno lasciato il sacerdozio, oppure persone che non sanno cosa fare della loro vita e nella fede ritrovano un senso a tutto. Non faccio niente di straordinario, semplicemente li ascolto e vanno via soddisfatti. Questo è quello che Dio ha voluto per me e io cerco di dare tutto quello che posso per Lui e per gli altri».