A Ceretto le prime prove di Resistenza La “mano italiana” dietro tanto sangue

A Ceretto le prime prove di Resistenza La “mano italiana” dietro tanto sangue
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Durante la presentazione on line del libro "Ceretto 1944: cronaca di un eccidio", un contributo importante all'inserimento delle vicende locali all'interno dello scenario nazionale lo ha portato Paolo Pezzino**, docente di storia contemporanea dell'Università di Pisa, presidente dell’istituto nazionale Ferruccio Parri, direttore scientifico dell'Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia. Ospite della videoconferenza organizzata dai Comuni di Costigliole e Busca, il docente ha fornito agli ascoltatori (il video si può rivedere sul canale Youtube della città di Busca) interessanti spunti di analisi e riflessione.Professore, durante l'evento virtuale di presentazione del volume ha speso parole di encomio per il lavoro di Berardo.

«Sì questa nuova edizione ha un pregio: aggiunge nuovi e importanti elementi al nucleo originario, senza però sminuire i lavori precedenti. Berardo ha integrato alle interviste ai testimoni un certosino lavoro di ricerca documentale. Ho apprezzato anche molto le fotografie d'epoca, che conferiscono al lavoro di raccolta e analisi competenze trasversali».

Come possiamo inserire Ceretto nel quadro nazionale?

«È un episodio che si caratterizza per la precocità. In Piemonte, infatti vediamo anticipate alcune caratteristiche dell'azione repressiva dei nazifascisti che si svilupperanno in altre zone d'Italia solo dall'estate del 1944. L'Atlante delle stragi ha censito tutti gli episodi di violenza contro inermi (persone disarmate, che fossero civili o partigiani). È una trama in continua evoluzione, che non a caso per il Cuneese stiamo aggiornando con le recenti scoperte di Berardo. Raccogliamo su scala nazionale 5.863 episodi, con 24.385 vittime. Nella cronologia registriamo i primi casi significati i di violenza nell'autunno  del 1943, poi un picco nell'estate successiva. Più limitato appare il fenomeno delle rappresaglie nell'inverno, quando invece avviene l'eccidio di Ceretto. È una testimonianza della precocità della Resistenza piemontese».

Delle 27 vittime di quel massacro, solo 4  si sono dimostrate collaboratori dei partigiani. Gli altri 23 furono uccisi per errore?

«Erano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Al Ceretto si è sviluppata in piccolo, quella che chiamiamo "azione eliminazionista", in cui i militari non procedono solo per rastrellare territori in cerca di squadre di resistenti armati, ma mettono in opera una rappresaglia volutamente ordita come intimidazione alla comunità. Andando ad uccidere tutti i residenti in un ambito territoriale che si immaginava, a torto o ragione, strettamente collegato con i partigiani. In altri episodi simili non si è avuta pietà neppure per donne e bambini, si pensi a Montesole o Sant'Anna di Stazzema. A Costigliole, per esempio, un giovane fu graziato per la sua giovane età: nella prima fase di questo fenomeno si conserva ancora un'attenzione di questo tipo; con la progressione degli eventi bellici le rappresaglie si fanno sempre tragiche. Ciò non toglie che a Ceretto le violenze collaterali siano state gravi: gli incendi di case e fienili furono gesti crudeli, che obbligarono diverse famiglie, in pieno inverno, a cercare ricoveri di fortuna e a perdere il sostentamento degli animali».

Il Dopoguerra grazierà tutti o quasi i responsabili, come si legge nel lavoro del professor Berardo. Ma non sorprende oggi scoprire l'attivismo dei repubblichini in queste azioni, al limite della guerra civile?

«Cercando di capire e interpretare i vari episodi raccolti nel nostro Atlante abbiamo finito per cambiare il nome dello stesso: le "stragi nazi-fasciste" sono diventate la "stragi naziste e fasciste". Ci siamo accorti, infatti, durante la ricerca che in diversi episodi c'era stata una partecipazione attiva delle strutture italiane. Un conclamato ruolo della Repubblica sociale e delle sue diramazioni territoriali che, come avvenuto a Costigliole, in collaborazione con i militari tedeschi, praticava la violenza nel 14% degli episodi raccolti. In questi casi si raccolgono il 20 per del totale delle vittime. Vi sono poi un 23% di episodi e un 13% di decessi direttamente imputabili a decisioni e azioni perpetrate da italiani contro italiani». 

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