A gennaio i primi vaccini contro il Covid In Piemonte 200 mila dosi a disposizione

A gennaio i primi vaccini contro il Covid In Piemonte 200 mila dosi a disposizione
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Potrebbero iniziare già ad inizio anno le prime vaccinazioni per il coronavirus in Piemonte.

«Stiamo predisponendo, mediante gli ospedali e le Rsa - ha annunciato venerdì il presidente della Regione Alberto Cirio - la prima fase di vaccini che riguarderà innanzitutto il personale sanitario e gli anziani. L'obiettivo è riuscire ad iniziare a vaccinare quanto prima e di farlo il più in fretta possibile».

Dalla Regione fanno sapere che il piano sarà presentato in settimana indicando nel dettaglio le strutture ospedaliere interessate.

Da quando si apprende quattro dovrebbero essere nella Granda: si tratta degli ospedali di Verduno, Cuneo, Mondovì e Savigliano. 

Il vaccino sarà quello sviluppato dall’azienda statunitense Pfizer, che si spera possa essere autorizzato entro il 29 dicembre dall’Agenzia Europea del Farmaco: se così sarà, si aprirà la fase di distribuzione sul territorio.

In Italia sono stati individuati 277 punti di stoccaggio e conservazione (necessaria a circa 75-80 gradi sotto lo zero), 28 dei quali in Piemonte, dislocati in tutte le province.

La Regione ha individuato tre distinte fasi per la campagna vaccinale: nella prima, in programma a partire da fine gennaio, saranno coinvolti il personale sanitario (e in generale ospedaliero) e le Rsa (ospiti compresi).

Nella “fase 2” si andranno invece a vaccinare il personale scolastico (verosimilmente anche gli studenti) e le forze dell’ordine.

Nella terza, infine, il resto della popolazione, procedendo in ordine di priorità (partendo dalla fascia più anziana, per finire alle persone che hanno già contratto e superato l’infezione).

«Per quanto riguarda le fasi 2 e 3 - è stato precisato durante la conferenza stampa di venerdì scorso in Regione - non è al momento possibile fissare una tempistica precisa».

In Piemonte la prima fase interesserà poco meno di 200 mila persone e dovrebbe svilupparsi nell’arco di una cinquantina di giorni: una seconda dose del vaccino dovrà essere somministrata tra il 19° e il 23° giorno dopo l’inoculazione della prima.

Mentre si guarda al fronte dei vaccini, si procede però anche alla riorganizzazione della medicina territoriale. La finalità è garantire la continuità delle cure, la presa in carico della cronicità ed una migliore accessibilità alle prestazioni, anche nei territori montani.

La Regione metterà a bilancio, a partire dal 2021, 10 milioni di euro all’anno, oltre ai 17,3 milioni già destinati alle attrezzature sanitarie di diagnostica di primo livello a favore dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta e ai 7 milioni deliberati il 20 novembre scorso per la telemedicina.

«I medici di base che sceglieranno di lavorare in una di queste due modalità - è stato spiegato - potranno essere supportati da personale di studio: il 60% potrà disporre di personale di segreteria (oggi è il 43%) e da personale infermieristico nella percentuale del 40% (oggi siamo al 19%).

«Questo - argomenta l’assessore alla Sanità Luigi Icardi - perché la modalità di lavoro in gruppo consente maggiori sinergie ed economicità di scala (per esempio permette di sommare i singoli rimborsi per personale di studio e infermiere e di suddividere le varie spese) e nel contempo maggior soddisfazione per i cittadini/pazienti, che trovano così un’offerta di prestazioni allargata, comprese le proposte di medicina proattiva, e un medico disponibile per più ore mattino e pomeriggio».

Aggiunge Icardi: «Nei territori molto ampi, con popolazione scarsa e ambulatori medici più dispersi, invece la scelta migliore potrà essere la medicina in rete, che non prevede l’obbligo di una sede unica, consentendo ai medici di mantenere i loro ambulatori per non compromettere la capillarità dell’assistenza e favorire l’accessibilità agli assistiti. Può essere prevista una sede di riferimento (preferibilmente messa a disposizione dall’Azienda sanitaria locale) – annota ancora l’assessore - nella quale svolgere interventi programmati (per esempio, medicina di iniziativa per i medici, oppure vaccinazioni per i pediatri) o all’interno della quale prevedere una presenza a rotazione, se necessario al raggiungimento della copertura oraria eventualmente prevista. A supporto delle forme organizzative complesse viene istituita la figura dell’infermiere di comunità».

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