Addio al fante Bruno ultimo reduce di Libia

Addio al fante Bruno ultimo reduce di Libia
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Era uno degli ultimi reduci della Seconda Guerra Mondiale. Si sono svolti sabato scorso i funerali di Giuseppe Bruno, 99 anni, cavourese, combattente (e poi prigioniero) sul fronte libico. Vedovo da alcuni mesi, lascia le figlie Caterina, con Giovanni, Adelia con Luigi, Maria Angela, con Bruno, e Franca, con Franco.

Nel giugno dello scorso anno era stato premiato dai Fanti, in occasione del 25esimo anniversario della sezione cavourese. Pochi giorni prima aveva raccontato le sue vicende di guerra alla Gazzetta di Saluzzo. Eccone uno stralcio.

Il 16 maggio del 1943 è una data spartiacque nella vita di Giuseppe Bruno. Classe 1920, di Cavour, Bruno era un fante fuciliere (arruolato nel 1941) della divisione Superga, Secondo Battaglione, Sesta Compagnia. Partì da Cavour ventunenne, e vi fece ritorno solo cinque anni dopo, nel 1946.

La divisione Superga era impegnata sul fronte italo-francese nel giugno del 1940, poi fu assegnata al fronte africano. La situazione nel deserto era preoccupante. Con gli alleati tedeschi c’era poco feeling e gli inglesi, grazie al supporto americano, premevano sempre di più avanzando dall’Egitto e dalla Libia.

«La vita al fronte - ci raccontò il reduce - non era male. Si mangiava abbastanza bene e anche l’acqua, pur preziosa, non mancava. Poi arrivò Kasserine. E arrivarono gli inglesi. Fu una battaglia dura, ma parve subito chiaro che le sorti erano segnate. Resistemmo tra grandi perdite. Il tenente Ottone ci guidò bene, ma degli oltre 200 del battaglione ne rividi solo 16. Io ero con un tale Bordino, di Scalenghe, uno dei pochi della mia zona. Eravamo molto amici e cercavamo di aiutarci, sempre. Fu proprio lui a dirmi, durante la battaglia, quella frase “Sono qui, eccoli”. Io gli chiesi a cosa si stesse riferendo. Lui mi guardò stupito e mi rispose “Gli inglesi! Andiamo via”. Così lasciammo la nostra buca e cercammo di ripiegare. Il tentativo durò poco perché non sapevamo dove andare, in mezzo al deserto. Ritrovammo alcuni commilitoni, si cercò di ricostituire una squadra ma fu tutto inutile. Ci fecero prigionieri. Per me quella parte della guerra era terminata. Senza un graffio, ma consapevole di aver fatto tutto quello che era possibile».

Bruno fu condotto in Algeria e solo il 16 aprile del 1946 potè tornare in Italia.

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