Casteldelfino, a Messa con le anime dei morti

Casteldelfino, a Messa con le anime dei morti
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Nei giorni scorsi dedicati ai Defunti, mi sono imbattuto in alcuni fogli di un testo di Euclide Milano, storico e antropologo braidese (1880-1959), dal titolo “Nel regno della fantasia”, del lontano 1931. I miei occhi si sono posati su un capitolo ambientato in quel di Casteldelfino. Ho pensato di farlo risentire ai lettori, anche se un po’ macabro, ma giusto nei riguardi di quanti nessuno mai ricorderà, che non hanno tomba, né fiori che l’orna. Ma ecco le sue sbiadite parole, anche se non tutte.

(Aldo Ponso)

Sulla fine d’un ottobre già freddo, in una notte senza luna e senza stelle, un montanaro di Casteldelfino di nome Luca, camminava lentamente verso casa, proveniente da una baita sperduta sul monte, dove era stato a vegliare un amico ammalato. Quel poveretto, solo al mondo, aveva trovato in lui e in pochi altri coetanei, chi l’assisteva nella sventura. L’oscurità era tanto fitta, che quasi non discerneva la strada; per fortuna, Luca la conosceva così bene che l’avrebbe potuta percorrere a occhi chiusi…Tutto era silenzio. Non si udiva che il fragore del Varaita, sordo e roco.

Avvolto nel suo pesante tabarro, andava avanti un po’ insonnolito, gravato dalla stanchezza. Ad un tratto gli parve che la chiesa campestre della Torretta (Torrette?, ndr) desse alcuni rintocchi lenti e gravi. Ristette, si rimise in cammino. Ma poco dopo un lieve fruscio lo fece un’altra volta trasalire. Giunto davanti alla cappella l’aspettava una sorpresa: due fasci di luce uscivano dalle finestruole.

Ma chi poteva mai essere là dentro a quell’ora? Luca si avvicinò a una di quelle finestre e scrutò l’interno, che gli parve pieno di gente. La porta si spalancò e sulla soglia apparve un prete coi paramenti sacerdotali. Era alto e magro, viso pallido e smunto, occhi cavi.

Parlò: «Brav’uomo, sapete servire la Messa?». «Sì - rispose Luca - volentieri». Aggiunse il prete: «Vi procurerete una grande benemerenza per l’anima vostra». Il prete si volse verso l’altare e Luca lo seguì. E la Messa ebbe inizio. Luca diede frattanto uno sguardo attorno: sentì congelarsi le ossa. Quelle non erano persone vive, ma anime dei morti! Avevano sì l’apparenza corporea, ma erano simili ad ombre di scheletri…

Ma chi erano mai? Luca lo comprese facilmente quando s’accorse che la maggior parte erano pastori, alcuni dei quali riuscì a riconoscere. Ma c’erano anche contrabbandieri, guardie di finanza, turisti scalatori di rocce, persino un pastorello con la fronte spaccata e delle ragazze… Chi erano dunque?

Erano i morti rimasti sulle Alpi più eccelse e scoscese, i morti senza sepoltura, caduti per disgrazia o per altrui violenza e finiti nel fondo degli abissi e ricordati appena da una croce anonima, donde erano caduti spinti dalla bufera o dalla valanga. Dio misericordioso aveva perdonato i loro peccati, anche in considerazione della loro tragica fine, ma dovendo ancora espiare in parte le loro colpe, essi venivano a quella Messa fatta apposta per loro.

I rintocchi che Luca aveva sentito erano stati realmente battuti per chiamare i dispersi, e quelli in un baleno erano accorsi alla pietosa celebrazione. Poi uno di loro iniziò il rosario, a cui risposero tutti con voci arcane, come giunte di molto lontano, voci veramente d’oltretomba.

Finito finalmente il sacro rito, il sacerdote disse “Ite, Messa est!” e rivolto a Luca: «Grazie, potete andare. Dio terrà conto della vostra prestazione». Luca non se lo fece dire due volte, salutò con un inchino e s’incamminò verso la porta tra due file di scheletri, che lo guardavano intensamente.

Finalmente giunse fuori, dove sentì un breve tramestio, seguito da un gran colpo: la porta era stata nuovamente rinchiusa. Mentre la chiesa ritornava nell’oscurità più fitta, i morti che erano venuti alla funzione già erano ritornati alle loro tristi dimore: nel fondo dei burroni, negli anfratti delle rocce, sui gelidi ghiacciai...

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