Celso Bonavia, sempre dalla parte dei lavoratori

Celso Bonavia, sempre dalla parte dei lavoratori
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Caro direttore, sui settimanali cittadini molti amici hanno commemorato la figura di Celso Bonavia. Ne sono emerse l’umanità, la competenza professionale dell’intagliatore, la sensibilità artistica, la cultura musicale e non solo musicale.

E’ rimasto in ombra il suo contributo alla vita politica di Saluzzo. Solo Elso Banchero durante le esequie ne ha ricordato la presenza puntuale ed essenziale al montaggio delle feste dell’«Unità». Ed è proprio su Celso “militante di base” che vorrei richiamare l’attenzione di chi l’ha conosciuto e gli ha voluto bene.

Aveva conosciuto sulla sua pelle di bambino la povertà e aveva compreso i limiti delle due istituzioni che pure gli avevano consentito di uscirne e acquisire una robusta professionalità, il Gianotti e il mobilificio-scuola d’arte Bertoni. L’Istituto Gianotti, per molti versi meritorio nell’accogliere ragazzi orfani e trovare loro un mestiere, risentiva della mentalità conservatrice dell’omonimo vescovo, grande nemico delle riforme di Giuseppe Siccardi e fautore di un modello educativo in cui una religione fatta di riti, levatacce per le preghiere, digiuni quaresimali aveva grande peso.

Analogamente i meriti imprenditoriali di Amleto Bertoni non escludevano che le condizioni dei lavoratori del suo mobilificio dovessero essere difese e migliorate dalle battaglie sindacali di un Mario Gillio o un Giacomo Capellaro. Celso aveva capito che la povertà non è né un castigo di Dio né una colpa o un accidenti, ma è il frutto di una organizzazione economico-sociale che fa del profitto il suo obiettivo esclusivo e la diseguaglianza suo corollario. Di qui a entrare in quella che fu la più grande organizzazione del Novecento di emancipazione dei lavoratori, il Pci, il passo fu breve.

Ritrovai Celso nelle file comuniste per la prima volta nel 1970: io ero candidato a Verzuolo, lui non solo a Saluzzo nella coalizione Pci-Psiup, ma anche a Sampeyre. Era stato l’unico che dalla città avesse accettato di aiutare Carlo Fea nel tentativo di presentare una lista di bandiera che attestasse la presenza della sinistra anche in un “feudo bianco” com’era il principale centro della val Varaita. Quel primo tentativo non elesse consiglieri: verranno cinque anni dopo. A Saluzzo l’alleanza Pci-Psiup ottenne quattro seggi: accanto agli “storici” Walter Botto ed Enrico Rossi, entrarono Antonio Di Mauro ed Elso Banchero. Celso fu tra quelli che raccolsero più di 50 preferenze: in quei tempi era nell’assemblea di sezione che si decideva come orientarle. Celso era tra quelli che chiedevano di non essere inseriti fra i “papabili”. La situazione si ripeté in tutte le successive tornate in cui Bonavia fu in lista per le comunali: un candidato “forte”, perché stimato, uno di quelli che costituiscono il nerbo di una squadra, il cui lavoro generoso e disinteressato consente alle “punte” di centrare gli obiettivi.

Nei 29 anni in cui ho abitato a Bra mi capitava periodicamente di ritrovare i compagni di Saluzzo o nella mia qualità di responsabile provinciale delle politiche ambientali o in occasione dei congressi nazionali. Nelle due assemblee che segnarono la nascita del Pds e poi la sua trasformazione in Ds venni a illustrare le mozioni di sinistra (Bassolino-Minucci-Asor Rosa, Giovanni Berlinguer-Mussi-Cofferati). Sapevo di poter contare sul consenso dei “partigiani” (Botto e Rossi) e degli “artigiani” come Celso.

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