Cittadinanza a mussolini Il prof. Berardo interviene nel dibattito Il tramonto inglorioso del liberalismo saluzzese «Non ci fu unanimità: al Consiglio comunale del 1924 era presente soltanto una metà, tutta di maggioranza»
Anche in città si è aperto il dibattito sulla cittadinanza onoraria attribuita al Duce. Dopo le prese di posizione di maggioranza e opposizione ospitate la scorsa settimana, interviene il prof. Livio Berardo.
In poche righe si contano almeno tre di quelle che benevolmente definiremo imprecisioni. Il richiamo all’unanimità sottace il fatto che a quella seduta partecipò appena metà dei consiglieri e tutti di maggioranza. Anzi dei 30 eletti il 31 ottobre 1920, 24 liberali e 6 socialisti (il sistema maggioritario aveva tagliato fuori i popolari), a maggio del 1924 5 risultavano dimissionari (senza subentro) e uno, Bartolomeo Chiola, deceduto.
I primi a dimettersi erano stati i due consiglieri di minoranza passati dopo il congresso di Livorno al PcdI, Mario Mortara e Giuseppe Ingaramo. Mortara, scrivano della sottoprefettura, reo di aver partecipato allo sciopero “legalitario” dell’agosto 1922, era stato trasferito a Sassuolo. Ad aspettarlo alla stazione c'erano i fascisti del luogo, evidentemente avvertiti dai camerati di Saluzzo. Fu bastonato a sangue. Non poté prendere servizio e venne licenziato. Ingaramo, tipografo, era invece stato messo alla porta dal padrone, il cav. Lobetti Bodoni, passato dalla militanza radicale della gioventù a quella fascista, e costretto a trasferirsi a Torino in cerca di lavoro.
Per varie ragioni fra il 1923 e il 1924 avevano lasciato il Consiglio tre rappresentanti liberali, il rag. Sartore, l’avv. Saglietti e il dottor Camisassi.
I quattro consiglieri rimasti nel Psi Liderico Vineis, Paolo Lombardo, Angelo Blengini e Aldo Claro (da non confondere con l’esponente di maggioranza Luigi Clara) dopo la marcia su Roma non partecipavano più alle sedute, solo Lombardo vi presenziava, di tanto in tanto, a seconda degli argomenti trattati. Non condividevano la corrività verso la sezione fascista la quale, diversamente da altre città, aveva rinunciato a chiedere le dimissioni dell’amministrazione in cambio delle periodiche consultazioni che riservava loro il sindaco Gregorio Pivano.
Davvero, quando la cittadinanza onoraria fu deliberata, Mussolini non era ancora un dittatore, bensì un “regolare” primo ministro, votato dalla Camera?
Mussolini era entrato in Parlamento con appena 35 deputati su 535, eletti nel blocco nazionale. Con il sostegno di liberali e Ppi formò un governo in cui i tre/quarti dei ministri erano uomini suoi. Ai generosi sostenitori, che si illudevano di tenere sotto controllo il fascismo, lasciò le briciole. Nel 1923 si fece votare i pieni poteri: con questi rese organo dello Stato il Gran consiglio del fascismo e trasformò le squadracce in Milizia volontaria di sicurezza nazionale, un esercito privato legalizzato. Disturbato dalle critiche dei “giornaloni”, varò un decreto che dava ampio potere di intervento ai prefetti (che dipendevano dal ministro dell’interno, Mussolini stesso, che ricopriva anche quel ruolo, oltre a gestire il dicastero degli esteri).
Nell’aprile del 1923, i popolari, stufi delle violenze contro i sindacati “bianchi”, uscirono dalla maggioranza. A fine anno Mussolini chiese il rinnovo dei pieni poteri, poi dubitando di ottenerli, fece sciogliere la Camera. Si arrivò così alle elezioni del 6 aprile 1924, dopo le quali i ministri e i sottosegretari diventarono tutti fascisti, se si esclude la presenza per pochi mesi di un paio di liberali. Ma quelle furono anche le votazioni dei brogli (centinaia di migliaia di certificati accaparrati, candidati avversari fisicamente impediti a svolgere la campagna elettorale).
Il 30 maggio 1924, alla riapertura della Camera, l’on. Matteotti produsse una documentazione impressionante che dimostrava con quali mezzi il fascismo aveva vinto: una denuncia che gli sarebbe costata la vita. Il conferimento della cittadinanza saluzzese al duce è anteriore di 5 giorni. Non poteva essere più intempestiva.