Cronaca di ordinaria (e disperata) Dad «Che scuola vogliamo per i nostri figli?»

Cronaca di ordinaria (e disperata) Dad «Che scuola vogliamo per i nostri figli?»
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Da lunedì 8 marzo qui in provincia di Cuneo ci troviamo nella landa sconsolata della didattica a distanza. Riporto l'esperienza con mio figlio (di 6 anni, 1ª elementare) che si trova costretto a seguire sul pc tre ore al giorno la fantomatica didattica a distanza, detta Dad.

Innanzitutto mi trovo a contestare il nome stesso della cosa in quanto pur chiamandosi Dad (papà, in inglese) vi assicuro che di papà se ne vedono pochi. Sono principalmente le mamme, insieme a nonne e babysitter (disperate) che seguono i malcapitati bambini. Ma tant'è…

Come in tutte le situazioni di emergenza, io e mio figlio ci siamo armati fin dal primo giorno di tutto l’occorrente (quaderni, libri, portapenne, acqua e viveri) per arrivare illesi all’ultima ora della mattina, ma già all’inizio si è capito chiaramente che non sarebbe stata un’impresa facile. Senza contare che servono poi altre ore per svolgere i compiti e caricarli quindi sul portale di Classroom, un luogo di mezzo dove tra le colorate caselline delle discipline si trovano i vari link per accedere alle lezioni, roba che serve una laurea in informatica solo per riuscire a fare i diversi accessi.

Comunque partiamo con la Dad ed è subito un delirio. Collegamenti a singhiozzo, connessioni che saltano, microfoni che dovrebbero rimanere spenti e che invece i bambini accendono nei momenti peggiori creando fischi e sibili che nemmeno ci trovassimo in mezzo a una gara di Formula 1. E maestre sempre sull’orlo di una crisi di nervi che chiedono ai bambini di rispondere alle domande creando momenti di suspense degni dei migliori film dell’orrore...

Oggi, arrivati al 4° giorno di Dad (e purtroppo mi sento di dire che non finirà il 20 marzo come preannunciato…), mio figlio, dopo ore passate a copiare da uno schermo frasi che nemmeno riesce ancora a leggere, è esploso in una crisi di pianto che ha commosso gli altri bambini, la maestra e soprattutto me, solidale con un bimbo che non capisce perché prima gli veniva negato il tablet e ora invece vi è costretto.

Più che di didattica a distanza mi sembra si tratti di didattica casalinga con mamme (nonne, zie e chi più ne ha più ne metta) costrette a non respirare per non farsi sentire, rimanere fuori dalla telecamera con contorsionismi degni del Cirque du Soleil, per non parlare poi di abilità quali riuscire a ritagliare schede da passare sottobanco, fotografare schermi per rendere la copiatura più semplice e addirittura - qui lo dico e qui lo nego - di suggerimenti delle parole corrette con la M o con la N.

È questa la scuola che vogliamo per i nostri figli? Già è disastroso non poter vedere amici, andare al parco giochi o praticare qualche sport, ma pure ritrovarsi chiusi in casa davanti a uno schermo per ore e ore di seguito? Quando poi la scuola è un luogo sicuro dove tutti, e dico tutti, tenevano le mascherine, le distanze e perdipiù non si erano ancora verificati casi di contagio.

Ben vengano i flashmob organizzati da insegnanti e genitori che si battono per un ritorno alla normalità con la scuola in presenza. Non è vero che i docenti preferiscono starsene al calduccio tra le mura domestiche: la stragrande maggioranza si sta battendo per tornare in aula!

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