Duecento anni fa l’arresto di Silvio Pellico Accusato di Carboneria e chiuso allo Spielberg 13 ottobre 1820 Il patriota saluzzese autore del diario-libro più letto in Europa nell’800
Il venerdì, 13 ottobre 1820 fui arrestato a Milano, e condotto a Santa Margherita. Erano le tre pomeridiane. Inizia così “Le mie prigioni”, il celebre diario del patriota Silvio Pellico, nato a Saluzzo il 24 giugno 1789, divenuto uno dei libri più letti e tradotti tra ‘800 e ‘900.
Martedì ricorreranno i 200 anni dalla data dell’arresto di quello che, probabilmente, è il più celebre personaggio cui ha dato i natali Saluzzo, universalmente riconosciuto come uno dei padri dell’Italia. Silvio Pellico, il patriota saluzzese, il carbonaro, lo scrittore. Un personaggio il cui nome ricorre spesso in città, nelle piazze, nelle vie, nei monumenti, nelle scuole.
Due secoli sono molti, e non tutti, a Saluzzo, conoscono la storia di quello che fu uno dei suoi figli più illustri.
Già, perché Pellico è l’uomo universalmente riconosciuto come lo scrittore che impose la “questione italiana” all’opinione mondiale. Un’Italia che non c’era, lacerata da dominazioni asburgiche, papali, francesi. La sua opera “Le mie prigioni” divenne una delle più lette nei salotti di tutta Europa.
Nel 1952 il bibliografo Marino Parenti contò 260 traduzioni delle Mie prigioni, contro le appena 55 dei “Promessi Sposi” di Manzoni.
L’opera contava già 170 edizioni in lingua francese, 28 in inglese, 17 in spagnolo, 23 in tedesco e in altre 32 lingue.
Pellico fu, senza alcun dubbio, il lettore italiano più letto all’estero nell’800.
Pellico fu ammanettato e condotto in carcere con l’accusa di collusione con la Carboneria, il movimento politico clandestino che lottava per sottrarre al dominio Asburgico il regno Lombardo-Veneto e unificare quelle terre al Piemonte, con il sogno di un’Italia libera e unita.
In quel periodo lo scrittore saluzzese soggiornava a Milano, ed era venuto a sapere di essere stato cercato dalle guardie imperiali. Si preparò, cancellò ogni lettera e ogni traccia dei suoi collegamenti con la Carboneria e recitò la sua parte.
Le sue ultime lettere, quelle “intercettate” dalle autorità austriache (gli scritti inviati a Ludovico di Breme) sono state riscoperte solo pochi anni fa, ed evidenziano il pensiero liberale ed europeista di Pellico.
Dopo gli interrogatori a Milano, a dicembre iniziò il processo contro Silvio Pellico che, secondo il giudice, poteva essere scarcerato ed espulso dalla Lombardia. Ma l’imperatore asburgico bloccò il processo, fece trasferire tutti i detenuti a Venezia, nel carcere dei Piombi. Si arrivò così alla condanna a morte per alto tradimento, poi tramutata dall’imperatore in 15 anni di carcere duro a Spielberg, nei pressi di Brno, nell’attuale Repubblica Ceca, dove rimase rinchiuso fino al 1830.
Quello che pubblicò nel 1832 non era un diario, ma un manifesto del vero volto risorgimentale italiano: liberale, cristiano, europeista.
Duecento anni dopo quel giorno, che segnò l’inizio del “best seller” Le mie prigioni, nella sua città natale, la memoria di Pellico è racchiusa nella casa museo in cui nacque, oggi tutelata dall’associazione Case delle memoria.