Fauna selvatica: quali proposte? Dalla regione In Piemonte molte specie mettono a rischio economia e sicurezza
All’indomani della Giornata mondiale della fauna selvatica, celebrata lo scorso 3 marzo, il mondo agricolo e non solo si pone degli interrogativi sui possibili sviluppi della tematica.
Non solo il settore primario è interessato dalla materia: la popolazione selvatica ormai in sovrannumero e spinta sempre più a valle per la ricerca di cibo e acqua costituisce un pericolo per l’incolumità pubblica e la sicurezza stradale. Numerosi gli incidenti registrati sulle strade del Piemonte, spesso anche mortali.
Ungulati, nutrie, piccioni, minilepri e altre specie rappresentano una minaccia enorme per le produzioni agricole, spesso tramutata in veri e propri danni economici, di devastazione di campi e argini o di mancato raccolto. Le nutrie, ad esempio, scavano buchi negli argini delle risaie e vicino ai corsi d’acqua, mettendo a rischio la sicurezza idrogeologica degli impianti e del territorio intero già fragile, come le alluvioni hanno tristemente dimostrato. I piccioni e i corvi compromettono le semine e costituiscono un pericolo sanitario nelle aziende, cercando di annidarsi sotto le tettorie dei capannoni. Inoltre, cinghiali e caprioli, in particolare, rendono i danni agricoli più evidenti, diffusi tra i vari comparti: nei campi investiti a seminativo i cinghiali «arano» il terreno in cerca di cibo e causano la sconnessione dei campi; tra le vigne i caprioli mangiano i germogli per saziare fame e sete, così come fanno con le piante di nocciole (mangiando la corteccia, la pianta muore).
La fauna selvatica appartiene allo Stato, e le Regioni hanno potere limitato in materia, mancando la possibilità di vedere attuati dei decreti normativi come accade in Piemonte. Le Organizzazioni agricole da tempo chiedono interventi non più rinviabili al Governo, avanzando possibili soluzioni. Tra queste, interessante è la proposta della Cia-Agricoltori Italiani di modifica alla legge 157/1992 che regolamenta la materia, ritenuta obsoleta in quanto nata in una situazione completamente diversa da quella attuale. Spiega il presidente Cia Piemonte Gabriele Carenini: «La finalità di fondo della nostra proposta è passare dal principio di protezione a quello di gestione, in cui si ricerca la densità migliore delle popolazioni selvatiche, in equilibrio con le caratteristiche dei territori. Incidenti stradali, aggressioni come avvenute ad un nostro socio e mancati raccolti non devono più avvenire. Torniamo quindi a chiedere attenzione ai Tavoli di lavoro competenti, a tutti i livelli».
Cia propone che le competenze siano riportate alla Presidenza del Consiglio dei Ministri attraverso un Comitato tecnico faunistico e venatorio, e non dividendo le responsabilità tra vari Ministeri, che appesantiscono inevitabilmente la burocrazia. Seppur connesse, secondo Cia devono essere mantenute distinte le attività di gestione della fauna selvatica e quella venatoria, per una migliore programmazione e gestione del sistema. Gli agricoltori, con il parere dell’Ispra, sui propri fondi devono poter essere autorizzati ad agire in autotutela, con metodi ecologici, interventi preventivi o con abbattimento se muniti di licenza di caccia e se convenzionati con personale ausiliario. Le attività agricole che abbiano subito danni da fauna selvatica, devono aver diritto al risarcimento integrale della perdita effettivamente subita a causa di animali di proprietà dello Stato; il risarcimento deve essere integrale e comprensivo dei danni diretti ed indiretti alle attività imprenditoriali. Infine, secondo Cia, occorre assicurare un efficace controllo ed adeguata tracciabilità della filiera venatoria, partendo dalla presenza di centri di raccolta, sosta e lavorazione della selvaggina, idonei ed autorizzati, in tutte gli areali di caccia.