Giordanino: servono aiuti veri e subito se vogliamo salvare la nostra ristorazione parla il titolare dei quat taulin: senza liquidità il settore non regge

Giordanino: servono aiuti veri e subito se vogliamo salvare la nostra ristorazione parla il titolare dei quat taulin: senza liquidità il settore non regge
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Ci fosse ancora l'avvocato Manlio Vineis, lui che discettava sui cavilli ma sapeva fotografare la realtà con una battuta, definirebbe questo momento storico con qualche aforisma di Flaiano, dall'inossidabile «La situazione politica è grave ma non è seria» al fulminante (e amaro, vedendo quel che accade): «Coraggio, il meglio è passato».

Ricordiamo il valoroso Vineis parlando con Danilo Giordanino, che a noi piace chiamare “oste” come si diceva una volta, ma che oggi è a tutti gli effetti un imprenditore della ristorazione, il settore più esposto agli effetti della crisi-Covid. All'avvocato saluzzese si deve infatti quel nome, “Piola del Barbun”, suggerito al papà di Danilo, il barbuto Ferruccio, quando questi decise di aprire con la moglie Lucia la trattoria di Manta diventata un mito a cavallo del secondo millennio.

Allora Danilo era un ragazzino. Mancato prematuramente il padre, toccò a lui con la madre mandare avanti l'azienda di famiglia, poi trasferita con successo ai “Quat Taulin” di via Piave, in Saluzzo.

E ora, Danilo, come la mettiamo?

«E' una domanda che mi faccio tutti i giorni. E anche di notte, mentre guardo dormire i miei figli e penso a tante cose. Quello che turba me e i miei colleghi della ristorazione è sentirci impotenti, costretti a fare i conti con un'attività ridotta ai minimi termini mentre i costi rimangono, con bollette, affitti, Imu, F24. Noi nel nostro piccolo siamo pur sempre delle imprese: e le imprese se non fatturano rischiano una brutta fine. Questo devono capire i signori del governo, a cominciare dal signor Conte».

Una sensazione diffusa: un'indagine rivela che il 96% delle imprese di settore ritiene insufficienti i sostegni previsti, i famosi “ristori”. E' così?

«Più che mai. Il ragionamento è semplice. Abbiamo chiuso a marzo e ci è stato chiesto di riaprire dopo tre mesi rispettando le regole. Lo abbiamo fatto indebitandoci per essere a norma, fra mascherine, igienizzanti, sanificazioni, tavoli distanziati eccetera. L'estate è passata con più bassi che alti. Tutti noi speravamo in una ripresa autunnale, la stagione migliore per i ristoranti, e invece ci ritroviamo con le gomme a terra. Le spese corrono, e i famosi aiuti restano dei palliativi. Senza incassi come è possibile tirare avanti?».

Che cosa servirebbe alla vostra categoria?

«Uno chef di grido come Massimo Bottura ha scritto al presidente Mattarella sostenendo che la mancanza di contante porta prima di tutto al mancato pagamento degli stipendi e dei fornitori (che sono tanti e quasi tutti con relative aziende da mantenere), poi delle rate dei mutui e degli affitti. E se lo dice uno stellato, figuriamoci i piccoli osti come il sottoscritto. Ciò detto, che cosa ci serve? Io ne dico tre: disporre di liquidità immediata per coprire i mancati incassi, poter accedere al credito con interessi zero o quantomeno agevolati, e l'annullamento totale di tasse e contributi. Questo per non sentirci soli e trovare la voglia di continuare».

Il malumore è grande e da qualche parte è già sfociato in protesta violenta. Cosa vi aspettate?

«Le violenze non ci riguardano, i ristoratori che sono andati in piazza lo hanno fatto con civiltà. Noi ci aspettiamo dal signor Conte che i ristori siano tali, con una liquidità in parametro ai fatturati. Come dice l’illustre collega Bottura, ora abbiamo bisogno di stimoli per darci coraggio e non cadere in depressione».

E intanto?

«Ci teniamo vivi con l’asporto e le consegne a domicilio. Proponiamo le nostre specialità, i formaggi, con menu diversificati per il pranzo di lavoro e per il weekend. Continuiamo a servire il bollito e le trippe. Ci teniamo ai clienti e cerchiamo di soddisfarli. E’ il nostro mestiere, la nostra vita».

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