Il cavourese a fine mandato nazionale traccia il bilancio Buttigliero racconta i 6 anni da vice degli alpini «Nulla è impossibile per le nostre penne nere»

Il cavourese a fine mandato nazionale traccia il bilancio Buttigliero racconta i 6 anni da vice degli alpini «Nulla è impossibile per le nostre penne nere»
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Dopo sei anni, il periodo massimo previsto dallo statuto, si è conclusa l’esperienza di Mauro Buttigliero nelle vesti di vicepresidente nazionale dell’associazione Alpini.

Buttigliero, cosa rimane di questa esperienza?

«È stata molto coinvolgente, una crescita personale, umana e alpina, un impegno estremamente importante, pieno di grandi soddisfazioni. Voglio fare un ringraziamento particolare a coloro che hanno contribuito a far sì che potessi vivere questa esperienza: gli alpini di Pinerolo, con il presidente Francesco Busso, che hanno portato la mia candidatura al Primo raggruppamento. Poi i presidenti delle sezioni di tutta Italia che mi hanno eletto consigliere nazionale e rinnovato come membro più votato ed infine la nomina a vicepresidente dell’Ana»

Cosa significa rappresentare gli alpini?

«E’ difficile spiegare la magia che tiene insieme 370 mila persone che vivono condividendo gli stessi ideali e valori scritti nel nostro statuto ormai oltre cento anni fa. Persone molto differenti tra di loro non solo geograficamente, ma culturalmente, professionalmente, con estrazione sociale e addirittura religiosa, diverse. Una delle cose che mi ha sorpreso di più è stato scoprire che anche nei più piccoli borghi esiste un gruppo alpini, sulle Alpi e sugli Appennini, a Rimini come a Messina. Gli alpini sono in mezzo alla gente, sono amati dalla gente. Le linee guida sono scritte sulla colona mozza dell’Ortigara. Un vecio mi disse: ricordati che ovunque andrai con il cappello alpino un amico lo troverai sempre. Ed è stato proprio così; dove ero già conosciuto ma anche nelle steppe della Russia o sulle pendici dell’Etna o alla Vasaloppet sulle nevi scandinave».

Essere vicepresidente significa onori, ma anche oneri.

«L’impegno è stato importante, mediamente 45 week end all’anno impegnati in manifestazioni, eventi, incontri, tante volte dal venerdì alla domenica. Sono arrivato a Milano in punta di piedi con l’umiltà dell’alpino che era anche il più giovane in quel consesso. Ho avuto la fortuna di essere particolarmente apprezzato e, in questi sei anni, di svolgere tanti incarichi cercando di dare il mio contributo».

Ha avuto la possibilità di vivere in prima persona i luoghi simbolo degli alpini. Che significato rivestono ancora, a tanti anni di distanza?

«La partecipazione alle manifestazioni nazionali più importanti, quelle che rappresentano la nostra storia: l’Ortigara, il calvario degli alpini, l’Adamello e la guerra bianca oltre i tremila metri, le visite ai nostri sacrari con migliaia di nomi a ricordarci cosa è stato, la Tridentina, Nikolajewka, SelenyYar, la Cuneense, Nowo Postolajowka e il sacrario di Nava. L’onore e spesso l’emozione delle orazioni ufficiali in questi contesti, davanti a migliaia di alpini e soprattutto a qualcuno dei nostri reduci che quei momenti li aveva vissuti dal vero, mi hanno tante volte fatto venire i brividi e qualche volta fatto tremare la voce al microfono. La storia di quei periodi è ancora troppo poco conosciuta, e anche raccontata, soprattutto nelle nostre scuole; sono stato anche in Albania e Grecia, forse la guerra più dimenticata tra tutte, il ponte di Perati e il Golico quel confine dove sono caduti tanti alpini. La maggior parte è ancora lì, senza una degna sepoltura, e proprio per questo stiamo lavorando con Onor Caduti e i governi Albanese e Greco per cercare di riportarli a casa. La Russia e le steppe del Don non si dimenticano perché fanno tornare in mente esattamente quanto scritto nei libri dei reduci, ma c’è qualcosa di più. A Rossosch, dove aveva sede il comando del Quarto corpo d’armata, l’Ana ha costruito 25 anni fa un asilo all’avanguardia per i bambini russi che rappresenta un monumento vivente perché da un evento tragico come la guerra possa nascere un simbolo di pace e di amicizia tra i popoli».

In conclusione?

«Ho avuto incontri istituzionali di altissimo livello, da Roma al Cremlino. La nostra associazione ha ricevuto il riconoscimento come Eccellenza durante il periodo del Covid. Dobbiamo, quindi, cercare di fare la nostra parte per far sì che tutti questi valori non vadano dispersi e tutto ciò che è stato fatto prima di noi, da chi ci ha preceduto, continui ad essere presente in questo mondo, che ne ha sicuramente bisogno. Purtroppo anche l’ultima emergenza pandemica ha evidenziato che senza gli alpini tante cose sarebbero ancora più difficili se non impossibili. Ma come scritto sulla roccia del Doss Trent, per gli alpini non esiste l’impossibile, e in ogni caso, noi ci proviamo».

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