Il Manifesto della Razza e gli ebrei di Saluzzo

Il Manifesto della Razza e gli ebrei di Saluzzo
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Il 15 luglio di 82 anni fa si apriva una pagina nera per la storia del nostro Paese: sul “Giornale d’Italia” veniva pubblicato il Manifesto della Razza, che sanciva la superiorità della popolazione italiana rispetto alle altre popolazioni presenti nella penisola, in particolar modo rispetto agli ebrei. Quel documento fu una tappa fondamentale verso l’emanazione delle leggi razziali, misure di tipo amministrativo e legislativo promulgate il 19 novembre 1938, che rimasero in vigore per il successivo quinquennio.

Anche alcuni scienziati e docenti italiani si resero così colpevoli di questo abominio, diventando complici, al pari delle autorità fasciste, del futuro destino di più di 8000 ebrei italiani, deportati e uccisi nei lager nazisti. Ciononostante, la carriera di tali studiosi non fu macchiata da questo atto, ma, anzi, continuò, come se nulla fosse accaduto. Bisogna ricordare, allo stesso tempo, che tutti quegli intellettuali, che non erano d’accordo con quanto contenuto in questo pamphlet, e anche molti docenti universitari ebrei, furono costretti all’esilio, soprattutto negli Stati Uniti.

La pagina nera del Manifesto della Razza macchiò anche la cultura, i circoli e i luoghi di insegnamento del Saluzzese: i cittadini di origine ebraica, in molti casi, non poterono più mantenere la cattedra, né nella scuola, né nell’Università; non ebbero più il diritto di esercitare la libera professione e di conservare i loro posti nelle amministrazioni pubbliche, o semplicemente di svolgere il loro ruolo nella società dell’epoca.

Singolare è stata, dunque, l’applicazione del Manifesto e della legislazione a Saluzzo, dove esisteva da tempo una consistente comunità ebraica, i cui maggiorenti costituivano l’élite cittadina. Alcuni, come l’avvocato Benvenuto Lattes, avevano svolto un ruolo cruciale nel favorire l’ascesa del fascismo ai vertici dell’amministrazione locale.

Parecchi saluzzesi, di famiglia ebraica, avevano svolto le professioni di banchieri e finanzieri, prima che venisse fondata la Cassa di Risparmio. Altri esponenti della comunità ebraica erano impiegati come docenti nel Liceo cittadino. Dunque, anche gli abitanti saluzzesi, nonché le personalità più in vista, sapevano quanto dovevano ai loro concittadini di origine ebraica. Tuttavia, l’applicazione sistematica del Manifesto e delle leggi razziali ebbe corso anche in città e nel territorio.

Il 20 ottobre del 1938 il prefetto di Cuneo, obbedendo alle disposizioni ricevute da Roma, sancì il divieto di licenze commerciali a titolari di razza ebraica. Il 28 dicembre dello stesso anno, il podestà di Saluzzo, dopo un’attenta indagine, non prese alcun provvedimento di allontanamento dal servizio nei confronti degli impiegati comunali e degli enti annessi: «Erano tutti di razza ariana e di provata fede fascista». Inizialmente, si cercò di salvare, almeno di facciata, alcuni noti ebrei saluzzesi per i loro meriti civili e militari, con “autorizzazioni varie”. Alcuni docenti, invece, tra cui Ugo Levi, insegnante di matematica e fisica al Bodoni, vennero cacciati dalla cattedra. Con il passare del tempo, molti ebrei saluzzesi ebbero come destino la deportazione e la morte nei campi di concentramento.

Una pagina che si direbbe da dimenticare, se non fosse che le aberranti teorie dell’epoca non si sono esaurite con la rovina del regime fascista e del Terzo Reich hitleriano, ma continuano a sopravvivere e a fare proseliti. Coltivare la memoria, significa mantenere alta la vigilanza.

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