INTERVISTA Fabrizio Bontempo, presidente dell’Associazione Nazionale Giovani Consulenti del Lavoro Le aziende dopo la pandemia
Nuovi modi di intendere il lavoro: dopo il Coronavirus niente (o quasi) sarà più come prima. L’esigenza è l’adattamento, anche rapido, al mondo che cambia e ai modelli di riferimento. Ne abbiamo parlato con Fabrizio Bontempo, presidente dell'Associazione Nazionale Giovani Consulenti del Lavoro.
Come adattarsi alle professioni del futuro in un mercato del lavoro in continuo cambiamento, aggravato dalla pandemia?
«In questo momento difficile le aziende e gli studi professionali si sono trovati di fronte ad una grande prova di resilienza, ma hanno dimostrato di sapersi adattare al cambiamento, con un enorme sforzo, verso una flessibilità forse neanche immaginabile prima della pandemia; ciò è stato attuato soprattutto attraverso la modalità di svolgimento della prestazione lavorativa in smartworking, imparando ad utilizzare strumenti differenti e soluzioni che prima erano in molti casi non prese in considerazione.
In poco tempo le aziende hanno riadattato lo svolgimento della prestazione lavorativa evitando così una completa chiusura dell’attività, certamente non senza disagio, con qualche inefficienza organizzativa motivata dalle tempistiche rapide, sfruttando solo parzialmente il grande potenziale dello smartworking. Questo però non ha fatto venir meno i risvolti positivi del lavoro agile e la possibilità di attuarlo in un prossimo futuro come strumento per favorire l’incremento della competitività e al tempo stesso agevolare la conciliazione dei tempi vita/lavoro. La vera sfida ed il buon auspicio deve essere proprio questo: trarre insegnamento dalla situazione di crisi, per imboccare una nuova strada senza voler tornare sulla vecchia. Per quanto riguarda le professioni, occorre segnalare come questa “nuova” flessibilità si è riscontrata in modo massiccio negli studi professionali e tra i giovani professionisti».
Qual è la posizione dei Consulenti del Lavori sulla questione del contagio da Coronavirus sul luogo di lavoro, che ha messo ulteriormente in difficoltà gli imprenditori?
«Per poter riaprire, le aziende devono mettere in atto tutte le normative in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed anche protocolli specifici anti contagio. La recente normativa ha introdotto una novità che sta facendo discutere, ossia il fatto che qualora si venisse contagiati di Covid 19 sul luogo di lavoro, si andrebbero a delineare i presupposti di un infortunio e pertanto il possibile coinvolgimento in un procedimento penale del datore di lavoro in caso di responsabilità in capo ad esso. È fondamentale essere rigorosi nelle applicazioni delle norme di sicurezza. Ma non è certamente semplice identificare l'esatto momento in cui una persona è venuta in contatto con il Virus e avere la certezza che sia avvenuto sul luogo di lavoro. Ecco perché fin dai primi istanti la nostra categoria ha proposto l'introduzione di uno scudo penale per i datori di lavoro. Tuttavia permangono le responsabilità in capo agli stessi e questo rappresenta sicuramente un elemento di criticità per gli imprenditori».
Le aziende si stanno già informando sulle modalità di licenziamento, ora bloccate dai decreti?
«La priorità delle aziende è di preservare i rapporti di lavoro in essere, mantenendo i livelli occupazionali e retributivi attuali. La situazione contingente in molti settori sta delineando potenziali esuberi, in particolare per le attività che dal 23 febbraio non hanno potuto più riaprire, ad esempio gli asili nido, cosi come per l’applicazione di tutte gli adempimenti in materia di sicurezza che in diverse tipologie di attività, quali ristoranti e attività commerciali, ha determinato una diminuzione dei fatturati. Gli ammortizzatori sociali, ad oggi, non coprono completamente tutto il periodo di divieto di licenziamento, le aziende si troveranno quindi nelle condizioni di avere personale in esubero che non potrà prestare l’attività lavorativa».
Come valutate il Decreto Rilancio del Governo? Sarebbe migliorabile?
«Un documento contenente tutte le proposte di modifica al dl 34/2020 è stato presentato lo scorso 28 maggio dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro in occasione dell’audizione presso la V commissione bilancio della Camera dei deputati. Sono state segnalate le tempistiche e le modalità operative per richiedere gli ammortizzatori sociali, che nonostante le modifiche apportate nel decreto, risultano ancora complesse. La reintroduzione di informative e consultazioni sindacali, oltre all’impossibilità di ricorrere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo fino al 17/08/2020, impatta fortemente sulle realtà imprenditoriali, specie le più piccole. Come consulenti del lavoro chiediamo di riconoscere maggiore valore ai professionisti in sede di conversione del decreto “Rilancio”, in particolar modo per gli incentivi e le azioni introdotti nel provvedimento per sostenere le imprese colpite dall’emergenza sanitaria che ad oggi ci escludono».
Come si colloca il nostro Piemonte nel panorama nazionale del Lavoro?
«Le misure di distanziamento sociale e la chiusura parziale delle attività nei mesi di marzo e aprile hanno avuto pesanti ripercussioni sull'attività economica del Piemonte. Bankitalia stima che la quota del valore aggiunto regionale delle attività sospese dal DPCM del 22 marzo 2020, sia stata pari al 31 per cento, oltre 3 punti percentuali in più della media nazionale: un dato allarmante. Considerando che alcune attività hanno continuato a essere svolte mediante forme di lavoro agile di cui si è detto prima, (lo smart working), la quota scende al 29%, rimanendo comunque superiore al resto del Paese. Le imprese piemontesi, in particolare quelle industriali, avevano iniziato a risentire degli effetti negativi della pandemia già prima della sua diffusione in Italia, a causa della riduzione della domanda estera e delle difficoltà sopravvenute lungo le catene di fornitura internazionali. Le famiglie piemontesi si caratterizzano per una ricchezza pro capite superiore alla media del Paese, ma questo non è una scusante per non ritenere a rischio questa fascia di popolazione che vedrebbe progressivamente erosa la propria capacità di risparmio, di spesa e conseguentemente di livelli di vita».