«Io, indagato per colpa della Pivetti» Manta, parla il farmacista Albertini coinvolto nel caso delle mascherine cinesi non certificate

«Io, indagato per colpa della Pivetti» Manta, parla il farmacista Albertini coinvolto nel caso delle mascherine cinesi non certificate
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La contestazione è concorso in frode in commercio. L’indagato è il farmacista mantese Alessandro Albertini, in qualità di presidente di Unifarma, azienda grossista del mondo farmaceutico con sede a Fossano e clienti in tutto il Nord-ovest. Il caso è quello che ha portato sotto i riflettori l’ex presidente della Camera Irene Pivetti, accusata di frode, falso, violazione delle leggi doganali. Il casus belli è l’immissione sul mercato di mascherine chirurgiche Ffp2 importate dalla Cina con certificazione CEcontraffatta.

La vicenda, oltre che per l’altisonanza del nome della Pivetti (coinvolta quale amministratore unico della Only Italia Logystic) ha avuto una grande eco in seguito a servizi televisivi su diverse reti nazionali (Albertini è stato anche ospite di Barbara D’Urso).

A due mesi dalla notifica di indagine al suo rappresentante legale, Unifarma comincia a intravvedere un po’ di luce, dopo giorni infernali che si sono incrociati con la fase acuta della pandemia e la schizofrenia normativa che ha mandato in tilt il sistema: «Confidiamo che la nostra posizione sia presto derubricata - confida Albertini, difeso da Marco Ottino del Foro di Torino - e siamo certi di non andare a processo. Considerati però i tempi della giustizia potrebbero anche volerci anni. Intanto credo che i magistrati, approfondendo il caso, abbiano appurato che, paradossalmente, in questa vicenda noi siamo parte lesa».

PASSAGGI COMPLICATI

L’ex presidente della Camera è stata messa sotto accusa per essersi rivolta all’Inail al fine di ottenere la conformità alla vendita inserendo nella certificazione false dichiarazioni. Erano i giorni di frenetico tam-tam dei virologi sull’uso delle mascherine e in Italia praticamente non se ne trovavano. Il governo, aprendo a deroghe e possibilità di auto-certificazioni, aveva concesso un sostanziale “liberi tutti” per poter distribuire più presidi sanitari possibili, fermo restando un ruolo di monitoraggio dell’Inail che si sarebbe rivelato tardivo. Molte mascherine sono così andate sul mercato senza il via libera dell’istituto nazionale.

L’inchiesta è partita dalla Procura di Imperia, in seguito all’esposto di un farmacista di San Bartolomeo al Mare, che aveva acquistato una partita di mascherine della Only Italia Logystic attraverso la Unifarma di Fossano.

IL COINVOLGIMENTO

L’indagine sul presidente e rappresentante legale di quest’ultima, il dottor Albertini, è un atto dovuto in quanto la sua società ha effettuato materialmente la consegna dei dispositivi irregolari.

Nel capo di imputazione formulato dalla Procura di Imperia, viene contestato il reato di frode in commercio di 40 mila mascherine, quelle che la Unifarma avrebbe distribuito in diverse zone del Nord Italia.

Albertini, anche in televisione, ha attaccato Pivetti proprio per non aver comunicato la bocciatura arrivata dall’Inail, che intanto aveva verificato la non idoneità della certificazione polacca riportata dalle mascherine della Ony Italia Logystic: «Quando è arrivato il documento, 15 giorni dopo la richiesta della Pivetti, che intanto le aveva messe in commercio (legittimamente, stando al decreto del Presidente del Consiglio ndr) le mascherine erano già state tutte vendute, quindi sarebbe stato inutile il ritiro dal mercato, però almeno ce lo avrebbero dovuto comunicare. Pochi giorni dopo, con mio grande stupore, sono stato convocato dal tenente della Guardia di Finanza di Fossano per ritirare la notifica delle indagini e ho dovuto ricostruire questa intricata vicenda».

TRAFFICI CON LA CINA

L’ex presidente della Camera si è difesa spiegando che i dispositivi importati dalla Cina in base all’accordo con l’ente non sarebbero del tipo Ffp2, ma KN95 e N95, equivalenti alle prime sulla scorta di quanto indicato dal Comitato tecnico-scientifico. Quanto al parere richiesto all’Inail presentando presunte false dichiarazioni, sarebbe comunque arrivato dopo che le mascherine erano già state vendute. E si trattava di un semplice certificato di “compliance” o conformità, in linea con la normativa europea, e non una certificazione di sicurezza come ipotizzato dai pm.

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