La paga di Cesare Pavese

La paga di Cesare Pavese
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Riceviamo e pubblichiamo..

E’ stata una sorpresa trovarmi citato nell’articolo della Gazzetta sul ritrovamento nell’archivio comunale dei documenti sulla supplenza al liceo classico Bodoni di Cesare Pavese nel 1931, in doppio senso. Innanzi tutto non sono il primo ad aver cercato tracce del futuro autore di “Lavorare stanca” e “La luna e i falò” a Saluzzo. Dall’archivio del liceo, di cui era preside, parecchi anni fa il professor Emanuele Ambrogio che ho ricordato in occasione della Giornata della memoria per una sua preziosa testimonianza, aveva tirato fuori la copia del contratto di servizio fra il giovane neolaureato e la civica amministrazione, pubblicandolo sul giornale “La pagina”.

E vengo al dunque: la delibera di incarico è stata letta frettolosamente, ricavandone un occhiello strabiliante: “Cinquecento lire all’ora per una cattedra al Liceo”. Manco Bin Salman paga così profumatamente i “dialoghi” simil anglofoni di Matteo Renzi! 500 lire per 18 ore la settimana avrebbero fatto 9 mila ogni sette giorni, 36 mila al mese.

Nell’Italia degli anni ’30 era in auge una canzoncina che recitava: “Se potessi avere/ mille lire al mese,/ senza esagerare,/ sarei certo di trovare/ tutta la felicità./ Un modesto impiego, io non ho pretese…/ Una casettina/ una mogliettina /giovane e carina…”.

Il sogno dell’italiano, medio, piccolo borghese e conformista, in pace con il regime era dunque uno stipendio di mille lire mensili. Quello di Pavese a Saluzzo era di 900: le 500 lire per ora settimanale si riferiscono ad un incarico di 10 mesi. Divise per 40 settimane fanno 12,5 l’una.

Il rag. Minoli, ex squadrista a Verzuolo, podestà di sicura fede fascista e di discussa onestà amministrativa (la deportazione di Liderico Vineis nel ’44 è da legare probabilmente al fatto che questi dopo il 25 luglio ’43 sollevò nel Cln provinciale la necessità di indagare sui conti podestarili degli ’30), non pensava certo a coprire d’oro uno sconosciuto neo-dottore in lettere. Anzi, se fosse stato al corrente delle sue frequentazioni torinesi, non avrebbe esitato a farlo arrestare e deferire al Tribunale speciale o alla Commissione per il confino, cosa che accadrà nel 1935.

Livio Berardo

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