La piaga dei figli abbandonati nella ruota Oltre al nome, si inventa anche il cognome la 16ª puntata della ricerca sulle origini della gens saluzzese

La piaga dei figli abbandonati nella ruota Oltre al nome, si inventa anche il cognome la 16ª puntata della ricerca sulle origini della gens saluzzese
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Nel XII secolo venne istituita la ruota, la cui struttura è stata descritta in una precedente puntata. Il suo scopo era di accogliere i bambini abbandonati e far sì che venissero prontamente accuditi, onde evitare che morissero di freddo e di fame.

La prima ruota degli esposti nacque in Francia nel 1188 nell'ospedale  dei Canonici di  Marsiglia  e in seguito ad  Aix-en-Provence  e a Tolone.

In Italia fu papa Innocenzo III a introdurla nel 1198, profondamente turbato dai tanti piccoli cadaveri che affluivano dalle acque del Tevere. Decretò quindi che, presso l’Ospedale di Santo Spirito in Assia, alle porte del Vaticano, venissero accolti gli esposti.

Da quel momento le ruote ebbero una rapida diffusione in tutta Europa e, a partire dal 1400, la maggior parte degli ospedali impiegava buona parte delle risorse per la gestione dei trovatelli.

Il fenomeno di abbandonare gli infanti nella ruota crebbe a tal punto che l’assistenza pubblica dovette organizzarsi per gestire il problema nella maniera più consona.

Per esempio, a Milano, sotto il coordinamento dell’ospedale Maggiore, i trovatelli venivano indirizzati in due centri specializzati, mentre l’ospedale del Brolo (l’odierna chiesa di Santo Stefano) aveva una nursery per i “figli del latte”, cioè per i neonati appena recuperati dalla ruota e in attesa di collocazione.

Poiché nel Medioevo il latte artificiale non esisteva, non c’era altra possibilità che mettere a balia i piccoli nati presso famiglie in cui la madre facesse da nutrice.

Per queste famiglie accogliere un neonato in custodia era una fonte di guadagno, perché lo Stato stanziava una piccola somma di rimborso spese per la balia e il suo nucleo familiare.

Un vero e proprio contratto, stipulato tra l’ospedale e la famiglia affidataria, imponeva che il neonato fosse cresciuto coscienziosamente e in salute e, a partire dal 1477, un regolamento dell’ospedale Maggiore di Milano stabilì che le balie non potessero risiedere in luoghi distanti più di 12 miglia dalla città, per poter garantire frequenti visite di controllo alle istituzioni preposte, una sorta di assistenza sociale. Spesso le madri biologiche rimanevano in contatto con la nutrice per seguire la crescita del proprio figlio, arrivando a elargire grosse somme di denaro o lauti doni.

I neonati, in base alla disponibilità della famiglia a cui venivano affidati, rimanevano nella casa della nutrice per un periodo compreso tra i due e i quattro anni, per essere poi sistemati in una struttura assistenziale, come l’ospedale di S. Celso deputato all’accoglienza dei “figli del pane”, cioè dei bambini ormai grandicelli e svezzati, nell’attesa di venir adottati.

I bambini che non trovavano una collocazione all’interno di una famiglia, venivano ospitati in una struttura ospedaliera fino al raggiungimento della maggiore età.

Che tipo di famiglie adottavano i trovatelli?

Una buona percentuale rimaneva in seno alla famiglia che li aveva accolti in fasce. Gli altri, un 60 per cento circa, subivano sorti diverse: alcuni venivano adottati da coppie che non potevano avere figli, oppure da vedove senza figli o da famiglie costituite da fratello e sorella, da padre e figlio, suocera e nuora o da coppie che avevano già altri figli, addirittura da un artigiano che cercava qualcuno a cui lasciare la propria attività. Alcuni infine venivano affidati a un convento.

In tutti i casi la famiglia adottiva si impegnava a “vestire et calzare et instruere ad salutem animae et corporis”.

Nel caso di una femmina i genitori adottivi si prodigavano anche a fornirle una dote e a trovarle un buon marito prima dei 22 anni.

In conclusione, anche ai trovatelli, generalmente, veniva offerta l’opportunità di una vita dignitosa, prova che la ruota era un buon sistema per accoglierli e impedire che venissero abbandonati al loro destino.

Purtroppo, dalla prima metà dell’Ottocento la ruota venne abolita per vari motivi, quali la convinzione che la ruota rendesse troppo facile per chiunque liberarsi di un figlio, l’alta mortalità infantile, ma soprattutto la difficoltà di gestire economicamente un numero tanto elevato di bambini.

La prima ruota ad essere abolita in Italia fu quella di Ferrara nel 1867, seguita da Brescia nel 1871, finché nel 1923 con il Governo Mussolini le ruote scomparvero del tutto.

Nella prossima puntata inizieremo ad analizzare i cognomi che venivano assegnati agli esposti.

Passiamo ora all’analisi di alcuni cognomi.

Ecco il cognome di un uomo del passato della nostra città, forse poco conosciuto, ma di alta levatura intellettuale. Si tratta del Dott. Cav. Tommaso LaugeiI. Fu un medico che lasciò la sua ricca biblioteca al comune di Saluzzo. Proveniva da una famiglia facoltosa verzuolese e una sua sorella lasciò i suoi beni in eredità all’Asilo di Verzuolo.

Il cognome Laugeri ha origine germaniche ed è un cognome abbastanza diffuso nel sud e sud-ovest della Francia (Laugier, Léger o Laugiè). Etimologicamente risale al nome di persona Leodgari (leod= popolo+gari=lancia, cioè popolo guerriero)

Rarissimo, Laugero/i vanta pochissime presenze in Piemonte e in altre regioni  quali Sicilia, Toscana, Liguria. Tipico del Cuneese, Laugero/i è registrato in una ventina di comuni a partire da Cuneo, Dronero, Saluzzo. I Laugier di Torino hanno trascorsi nobiliari: furono fregiati del titolo baronale dal re Carlo Alberto. Il motto:  Non fortior alter.

Per quanto riguarda il Censimento di Saluzzo del 1848 siamo giunti alla fine dell’elenco con la lettera Z, sotto la quale troviamo i seguenti cognomi. Zuniglio, Zucchetti, Zavattero, Zuccarelli, Zabena, Zaffrea.

ZUCCHETTI è un cognome squisitamente lombardo, con qualche presenza in Piemonte, in particolare a Torino, Vercelli, Verzuolo e Varallo (Vc).

ZAVATTERO come Zavattaro deriva probabilmente dal mestiere di “ciabattaro” o “calzolaio”, ovvero produttori di ciabatte: dal piemontese “savat” molto simile al francese “savate”. E’ a bassa diffusione con presenza in una ventina di comuni piemontesi. Un ceppo importante è a Montegrosso (At), dove è ottavo per frequenza anagrafica. Altri ceppi si registrano a Revello e a Pianfei.

ZUCCARELLI è panitaliano. Per le occorrenze piemontesi e liguri deriva dal toponimo Zuccarello del Savonese, diminutivo suffissato in -ello della voce  zuccaro  (collina a groppo, poggio).  Lo troviamo in una ventina di comuni: è tipico soprattutto dell’Alessandrino, in particolare di Monleale dov’è primo per frequenza. Un ceppo autoctono si registra in Calabria; presenze anche in Liguria a partire da Genova.  Ricordiamo con questo cognome lo scrittore Alessandro Zuccarelli  (1866-nd), di Santo Stefano Belbo, autore soprattutto di romanzi per ragazzi.

ZABENA, di etimo incerto,  è tipicamente  piemontese. Lo ritroviamo in una decina di comuni suddivisi tra Cuneese e Torinese. Il nucleo principale è a Cavallermaggiore, altri minori  a Favria (To) e a Savigliano.

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