La scopa di don Abbondio e il coronavirus
In uno dei suoi ultimi libri, “La scopa di don Abbondio. Il moto violento della storia”, Luciano Canfora pone in evidenza un passo dei Promessi sposi: «È stata un gran flagello questa peste, ma è anche stata una scopa; ha spazzato via certi soggetti che, figlioli miei, non ce ne liberavamo più». Siamo alla fine del romanzo e il pavido curato, libero finalmente dalle minacce e dal timore di don Rodrigo e dei suoi sgherri, tira fuori a modo suo quello che Manzoni chiama “il sugo” della storia e che più avanti si ritrova meglio espresso - perché in termini non così meschini come quelli usati da don Abbondio - nelle parole semplici e cristianamente sagge di Lucia.
Canfora usa la metafora della ramazza per parlare delle “scosse” improvvise della storia: guerre, rivoluzioni. Il coronavirus non era ancora all’orizzonte: il libro è del 2018. Può darsi che lo studioso barese stia per pubblicare qualcosa al riguardo, partendo dalla sua grande conoscenza di Tucidide, il primo ad avere descritto le manifestazioni sintomatiche di un’epidemia, la “peste” del 430 a. C., e le sue ricadute sulle relazioni umane e politiche.
Quando finirà la pandemia Covid 19, l’Italia sarà diversa da quella di prima, il mondo non sarà più lo stesso. Cambieranno gli equilibri di genere: se è vero che le donne si ammalano meno dei maschi, la graduale riapertura degli uffici e delle fabbriche potrebbe vedere il sesso femminile occupare spazi e ruoli non ancora conquistati in decenni di lotte... L’epidemia mette in discussione i sistemi sanitari basati sul privilegio dell’assicurazione privata... Analogamente fa emergere la drammaticità del lavoro sommerso, dai servizi di assistenza domiciliare dei nostri paesi alla raccolta di frutta e verdura soprattutto, ma non solo, nei campi del mezzogiorno o nei laboratori artigianali...
Ma è soprattutto in campo geopolitico che dobbiamo aspettarci gli sconvolgimenti maggiori. L’era a egemonia statunitense costruita dai grandi presidenti democratici (e idealisti) Wilson e Roosevelt, rischia di concludersi fra le bravate e i vituperi di Donald Trump. Quello che non hanno ottenuto gli attacchi terroristici dell’11 settembre, può rientrare nelle conseguenze dell’attuale pandemia, particolarmente del modo con cui è affrontata.
Al centro dell’arena mondiale si va collocando, nel bene e nel male, la Cina: nel male, per i ritardi con cui il contagio è stato denunciato, nel bene per l’efficacia con cui è stato combattuto e nella generosità degli aiuti inviati all’estero. Fa davvero specie veder volare in soccorso dei medici italiani, esausti e diradati da decine di morti, colleghi cinesi (e anche cubani, russi). Solo qualche anno fa i primi ad arrivare sarebbero stati americani oppure tedeschi, scandinavi.
Il sistema politico cinese è quanto di più lontano possa esistere da quello del mondo a cui apparteniamo. Eppure l’Europa di fronte al coronavirus rischia di diventare insignificante ancor più degli Stati Uniti: l’ultimo vertice dei capi di governo tenuto on-line, con il rifiuto degli Eurobond da parte della Germania e altri stati “nordici”, insieme all’assenza di solidarietà esplicita o all’imboscamento di mascherine e altri dispositivi, manda un suono sinistro: è quasi una campana a morto per l’Unione europea.
Nel 1995 il presidente dell’Internazionale liberale, Ralf Dahrendorf, lanciò un appello agli europei perché difendessero e rinnovassero la peculiarità dei loro sistemi socio-politici di fronte a una globalizzazione dei mercati rampante e insidiosa. Diversamente dagli Usa e dalle potenze emergenti dell’Asia, l’Europa occidentale del XX secolo era riuscita a “quadrare il cerchio”, a tenere assieme nel suo sviluppo benessere economico, coesione sociale e libertà politica...
Nel vecchio continente pochi sono i paesi in cui i populisti o i sovranisti occupino posti di governo. Si è tuttavia affermata una loro egemonia culturale (il termine può far sorridere se pensiamo al linguaggio rozzo con cui si manifesta), in conseguenza della quale le forze politiche tradizionali (cristiano-sociali, liberali, verdi, socialdemocratici, persino coloro che stanno a sinistra di questi), per paura di perdere voti, ieri sull’emergenza degli sbarchi di migranti, oggi di fronte a quella del virus, cercano per lo più soluzioni semplici e nazionalistiche.
L’appello di Sergio Mattarella a superare meschinità e chiusure è davvero giunto al momento giusto.