Nonno, dov’eri quel 25 aprile?

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La Festa della Liberazione priva dalla sua parte sociale, la festa di piazza e il corteo con l’orazione ufficiale, ha un sapore diverso, anche a Cavour dove, da sempre viene celebrata in piazza Sforzini, il salotto del paese, intitolato al partigiano, ucciso dalle milizie nazifasciste.

Anche senza protagonisti in piazza, la Pro Cavour ha deciso di “dare voce” alle persone, quelle persone che furono protagoniste della Liberazione e del ritorno della democrazia dopo cinque anni di guerra e sofferenza.

Dai suoi archivi, l’associazione ha così recuperato un interessante lavoro svolto dai ragazzi delle scuole Medie venticinque anni fa.

“Nonno, dov’eri quel 25 aprile?” era questo il titolo della raccolta di testimonianze sul Fascismo, la Seconda Guerra Mondiale e la Resistenza degli alunni della 3C della scuola media “Giovanni Giolitti” di Cavour, coordinati dal loro insegnante,. Nicolò Miciletta, nel 1994.

Nella traccia predisposta per le interviste ai nonni a proposito di “quel 25 aprile”, si richiedeva inoltre l’impressione provata e le cose notate anche nelle altre persone alla notizia della fine della guerra.

E così Emilio (classe 1916) raccontava: «Sono scappato dalla fabbrica e sono andato assieme ai partigiani in piazza a Pinerolo a festeggiare», mentre Luigi (classe 1919) ricordava: «Ero a casa finalmente, dopo mille peripezie per lo sbandamento».

Irma (1934) aggiungeva l’incredulità, dopo tanta sofferenza, a vedere la gente molto contenta e piena di allegria e le campane che suonavano e risuonavano.

Domenico (1924): «Ero a casa finalmente e ho pensato che mai più avrei avuto paura di non rivedere più il campanile della mia chiesa ogni volta che dovevo partire».

Luigi (1912): «Non mi tenevo più dalla gioia e mi lasciavo trasportare dalla felicità immensa dei miei colleghi partigiani»

Carlo (classe 1929) non era a Cavour: «Anch’io non ero a casa perché sbandato. Si provò una grande gioia immensa, anche se le città erano rase al suolo e in quel periodo, per un errore, c’era stato un bombardamento su una scuola che uccise 356 persone tra bambini e maestre. Io ero a Milano ed era tutto buio per evitare le incursioni aeree: ad un certo punto tutto si illuminò, tutti scesero per le strade e si danzò tutta la notte per la felicità e per la liberazione dall’angoscia».

«Il 25 aprile 1945 - ricordava Carlo (1927) –- provai un grande entusiasmo anche perché mi avevano catturato per far minare il ponte sul fiume Po» e Tina (classe 1922) «Ero chiusa in casa ad aspettare gli Americani che ci liberassero dal dominio dei nazisti. Piansi di felicità assieme a tutti gli altri».

Maria Franca ( 1928) ricordava di essere corsa, come del resto tutta la popolazione, in piazza, dove tutti erano felici e contenti.

Santina (1925) descriveva pure lei quel giorno come un giorno di festa, con le campane che suonavano, le strade piene di gente che sventolava bandiere e che gridava a gran voce la fine della guerra. Aveva vissuto il primo dopoguerra da bambina e la Seconda Guerra Mondiale da giovane moglie a Cavour. Ricordava aneddoti della sua infanzia e l’angoscia per l’assenza del marito al fronte, e aggiungeva: «Secondo me, un soldato, a qualsiasi esercito appartenga, è innanzitutto un uomo che solo le circostanze e la propaganda politica rendono amico o nemico: di qualsiasi colore sia la sua divisa, egli avrà perciò la stessa paura di morire e la stessa voglia di tornare a casa. Se almeno i soldati potessero essere sicuri che le guerre sono in qualche modo utili, che servono a evitare il ripetersi di fatti per cui sono scoppiate!».

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