Ollivero uomo dell’establishment (e del fascismo)

Ollivero uomo dell’establishment (e del fascismo)
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Caro direttore, il successo di Lidia Beccaria nel referendum indetto dal comune di Saluzzo per l’intitolazione della nuova biblioteca è avvenuto a scapito di altri personaggi della cultura cuneese o nazionale, che non devono essere dimenticati: da don Lorenzo Milani a Gianni Rodari, da Alex Langer a Gina Lagorio, da Lalla Romano a Maria Montessori.

Anche il più diretto competitore di Lidia, il saluzzese Alessio Ollivero, merita di essere ricordato, non però allo stesso modo di un Langer o di un don Milani, cioè per l’attualità dei valori incarnati, bensì semplicemente per il peso da lui avuto nella storia della città nei primi trent’anni del secolo scorso.

Per quel che mi riguarda, l’ho fatto con un ampio saggio pubblicato nel 1991 dalla Società studi storici della provincia di Cuneo, che evidentemente il giovane portavoce di Calenda nel saluzzese non ha letto. Come non si è documentato su fonti di archivio prima di redigere un intervento scopiazzato da comunicati stampa, in cui lancia accuse di “conoscenza storica non approfondita” e tesse l’apologia del personaggio. Il cui ruolo nella Saluzzo del 1902-1929 non va sottovalutato, ma neppure enfatizzato.

Sotto la guida di Ollivero la Cassa di risparmio si rivela la più immobilista della provincia: non concede mutui ai comuni, non finanzia i contadini né gli investimenti industriali. Fa utili sui titoli e sulle cambiali. Non finanzia la costruzione di una grande conceria cooperativa, come fa la consorella di Bra. Non sostiene le “cucine popolari” come a Caraglio la Cassa rurale di Riccardo Momigliano (il padre del grande storico dell’antichità Arnaldo).

Non favorisce il sorgere di caseifici sociali, magazzini ortofrutticoli e distillerie, come fa la sfortunata banca cattolica di Bagnolo. Non costruisce a sue spese come quella di Cuneo un palazzo delle Istituzioni popolari per ospitare le società operaie, la biblioteca “ambulante” e dal 1919 al 1922 la Camera del lavoro provinciale.

Durante la Grande guerra Ollivero anticipa i fondi per l’acquisto delle stoffe e le lane all’Azienda confezione indumenti militari, che per conto dell’esercito fa cucire a domicilio migliaia di pantaloni, giubbe, cappotti militari. Ne tiene i conti e, quando il conflitto finisce e all’organizzazione restano in giacenza alcuni stock di materie prime, nonché un buon fondo di cassa, di fronte alla richiesta di alcune sarte (spalleggiate dai socialisti Liderico Vineis e Paolo Lombardo) di trasformare l’azienda in cooperativa di abbigliamento, si affretta a svendere la stoffa ai suoi amici industriali Bertoni e Cardolle e a liquidare l’azienda.

L’unica grande opera che Ollivero finanzia tramite la Crs è la costruzione della Casa del fascio. Palazzo littorio, non biblioteca. Questa è l’ospite povera dell’enorme edificio. Per dotare Saluzzo di una biblioteca sarebbe stato sufficiente e più opportuno, come sostenne nel Consiglio di amministrazione il senatore Marco di Saluzzo, acquistare il palazzo dei conti di Monterosso. Si sarebbe recuperato un edificio storico e si sarebbe evitato di regalare al fascio cittadino e alla sua coorte di organizzazioni collaterali una sede che non meritava.

Ollivero per un solo voto riuscì a battere la proposta del marchese, fedele giolittiano e, dal 1924, decisamente antifascista.

Se dal punto di vista sociale Ollivero fu un convinto difensore degli interessi dei “beati possidentes” (categoria nella quale aveva finito per rientrare anche lui), da quello politico fu un conformista, allineato con le posizioni di potere via via prevalenti in città, prima quelle della famiglia Pivano, poi dei fascisti Attilio Falco e Jean Cardolle.

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