Parlano i firmatari della lettera: il motto di scarnafigi è pace e felicità La scritta di Mussolini continua a far discutere
Tornano a prendere la parola alcuni dei firmatari della lettera aperta pubblicata un paio di settimane fa, in merito alla scritta del Ventennio restaurata in paese che recita: “Camminare, costruire e, se necessario, combattere e vincere”.
Ciascuno di loro, con un taglio e una sfumatura differenti, dà voce al sentimento condiviso, una sorta di minimo comune denominatore, che consiste nella «delusione per una mancata condivisione delle scelte».
«Cercavamo un dialogo costruttivo – dice Chiaffredo Ceirano –, invece ci siamo trovati di fronte un muro. Nessuno di noi ha speso parole offensive nei confronti dell’amministrazione, mentre il Municipio ha scelto di non parlare a una parte della comunità che amministra. Se le cose stanno come ha riferito il sindaco, cioè che si è trattato di un semplice recupero storico per il quale non c’è nulla di male, che tutto il resto è polemica strumentale, allora devono dirci chi sia il privato che ha finanziato l’opera e mostrare i passaggi formali dell’operazione».
Luciano Colombini, invece, si sente colpito nella memoria personale e famigliare: «Sono scampato alla strage e agli incendi di Boves grazie al coraggio di mia madre. La nostra casa è stata arsa e demolita! Ho respirato per 40 anni la magnifica aria di libertà di Alba e ora, dopo 77 anni dai fatti di Boves, mi sembra di vivere in una piccola Predappio».
«Mi sarei aspettato un’apertura al dialogo da parte del sindaco – interviene Mario Lovera –, credevo che avrebbe lasciato spazio al confronto con i cittadini. Ho ancora in mente i racconti dei reduci: chi ha vissuto sulla propria pelle quel periodo, e la guerra successiva, non ne parla volentieri».
«Se penso alle leggi razziali e ai 400 mila alpini mandati a morire in Russia – prosegue Agostino Bigliuti –, qualla scritta non mi sembra un monito. Altro che combattere e vincere».
Elena Scotta, dal canto suo, respinge ogni accusa relativa a polemiche fini a se stesse: «Le spiegazioni che sono state fornite non convincono. Qui non si tratta di beghe di paese ma di argomentare certe scelte. Perché si è deciso di restaurare quella frase, se si voleva dare un monito ai posteri? Il “combattere” presuppone un nemico, mentre il “vincere” che ci siano dei vinti. E poi combattere per cosa? Che influenza può avere sui giovani? Una frase lasciata così non ha nulla di educativo».
Le fa eco Riccardo Botta, che ricorda come «in provincia di Cuneo esistano diverse scritte del Ventennio, nella stragrande maggioranza dei casi lasciate al corso del tempo. Non si dovrebbe mai più utilizzare la parola “combattere”, che nel Ventennio significava anche bombardare i civili con l’iprite. In quasi tutte le famiglie c’è stato almeno un morto a causa della dittatura, quelle frasi non sono un insegnamento per i ragazzi».
«Vorremmo solo che si parlasse di questo episodio con onestà intellettuale – sostiene Chiara Ceirano –: nessuno di noi si è permesso di apostrofare chi ha assunto quella decisione, né tanto meno di affibbiare etichette. Ci piacerebbe ricevere lo stesso trattamento. Se proprio si volesse sensibilizzare la popolazione sul tema, allora il Comune potrebbe organizzare eventi per la Giornata della Memoria o il 25 Aprile. Per ora è solo mancata la risposta dell’Amministrazione a una richiesta di dialogo».
«Penso alla commemorazione recente di Ebru Timtik, l’avvocatessa e attivista per i diritti civili morta in Turchia a fine agosto di quest’anno – dichiara Luisa Scotta –, organizzata dall’Ordine degli Avvocati, dall’ordine dei Giornalisti, dal Comune di Cuneo e dall’Istituto Storico della Resistenza. In quell’occasione è stato detto che la democrazia richiede un esercizio quotidiano. Nel nostro paese l’amministrazione ha agito senza voci di protesta negli ultimi anni. La prima volta in cui si è levato un dissenso, il confronto è stato stroncato sul nascere. La vicenda sarebbe stata l’occasione per un bell’esercizio di democrazia. Ci attendevamo almeno un invito a una seduta pubblica per concordare il da farsi, in modo che quella scritta diventasse davvero un monito. Invece non se ne è fatto nulla. Ci facciano capire: da un lato si dice di voler preservare la memoria storica con il restauro di scritte fasciste, dall’altro si copre un muro medioevale, quello sotto l’ala del paese, con un prefabbricato. E poi, storia per storia, “combattere” non è propriamente in linea con il motto del paese “ubi pax, ibi felicitas”».
«È una questione di metodo oltre che di merito – sostiene Fabrizio Torcellan –; c’è stata la chiusura dell’Amministrazione al dialogo, dopo una scelta che è passata evidentemente sulla testa della popolazione. Il fatto positivo è che sia emersa una forte coscienza storica, unito alla volontà di espressione da parte di tante persone. Dovrebbe essere recuperata la capacità di dialogare con la cittadinanza, da parte del Municipio.
Nando Arnolfo, infine, esprime un commento che termina con un invito: «In questi sei anni Riccardo Ghigo ha dimostrato ottime qualità di amministratore, realizzando una serie di interventi di riqualificazione urbanistica del paese e di incentivazione alle attività sociali e produttive. In particolare ho apprezzato il progetto ambizioso, facente capo ad Ottavia, di riportare Scarnafigi al ruolo di protagonista dello sviluppo del territorio della piana saluzzese. Ritengo che Ghigo nel complesso si sia rivelato un buon sindaco, intraprendente e capace di ottenere risultati importanti. Proprio per questo mi ha sconcertato l’iniziativa di far riemergere tracce di un passato che fa parte sì della nostra storia, ma ancora pesa sulle nostre coscienze e offende la memoria collettiva e individuale. La vicenda mi ha profondamente ferito sul piano personale. Mi ha riportato alla mente le sofferenze di mia madre, che fino alla morte ha sperato nel miracolo di riabbracciare il suo fratello più caro, disperso nella sciagurata campagna di Russia. Ogniqualvolta venivano pubblicati elenchi di ritrovamenti di cadaveri o di piastrine, si rinnovava in lei la speranza e si rinnovava il dolore. A pochi metri da casa mia per più volte al giorno mi comparirà quell’esecrabile motto e mi risuoneranno nel cervello le parole “combattere e vincere” che significano in realtà dolore e morte. Caro sindaco, ti chiedo almeno che il monito promesso abbia lo stesso risalto della scritta ed evidenzi le ragioni per cui è giusto ricordare ma è doveroso distinguere».