Paschetta: «Ma che ristori Ci tolgano le spese vive»
Anche a Barge lo scontento è diffuso e si levano voci fortemente critiche contro i provvedimenti che limitano (per non dire annullano) molte attività.
Luca Paschetta, titolare tra Barge, Bagnolo e Revello di bar, pizzerie e sale gioco, parla apertamente di vivere un “periodo drammatico”.
«Per cominciare - dice Paschetta - a inizio pandemia il governo ha stabilito dei criteri con relativi protocolli per l'apertura in sicurezza, costringendo le nostre attività a moltissimi investimenti al fine di adeguarsi alle normative». Prosegue l’esercente: «Poi ci hanno promesso che non ci sarebbe più stato un altro lockdown e invece ci hanno richiuso un'altra volta, per di più creando un terrorismo psicologico spaventoso. La gente non ha voglia di prendersi multe perché sorseggia una lattina nei pressi del locale, per cui evita proprio di uscire. E' un circolo vizioso che colpisce tutti, non solo i locali chiusi. Anche coloro che sono riusciti a stare aperti, hanno subito un’enorme riduzione degli incassi giornalieri».
A detta di Paschetta, la situazione di per sé già grave, è peggiorata dalla girandola di imposizioni, capaci di creare ulteriore confusione. «Non devono darci ristori - afferma l’imprenditore - devono consentirci di lavorare per evitare che questo assurdo tiramolla di chiusure e mezze riaperture ci porti a un indebitamento tale da pregiudicare il prosieguo delle attività. Io non mi vergogno a dire che ho dovuto vendere un bar e una pizzeria per riuscire a tirare avanti».
Paschetta sottolinea poi un altro problema. «Non siamo uniti tra noi commercianti ed esercenti - dice - e non siamo rappresentati da nessuno. E' inutile tenere accese le luci, in segno di protesta, così da pagare anche le bollette più care. Bisognerebbe metterci assieme e protestare in maniera legale e pacifica facendo valere i nostri diritti, non fare gli spavaldi sui social per poi nascondersi quando è ora di agire».
«Io non voglio soldi dallo Stato - puntualizza Luca -, vorrei che mi togliessero le spese vive, quelle che ogni giorno io sono costretto a sostenere nonostante la chiusura obbligata delle mie attività. Tenendo presente, inoltre, le numerose dipendenti che sono costrette a casa e alcune di loro anche senza cassa integrazione o ristoro su cui contare».