Roberto Signorile, 10 anni dopo

Roberto Signorile, 10 anni dopo
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Dei sedici sindaci alternatisi alla guida di Manta dalla Liberazione a oggi Roberto Signorile è stato quello che ha amministrato più a lungo: 14 anni (1980-90 in staffetta con Guido Sismondi; 1994-2004 eletto direttamente dai cittadini). Per altri vent’anni è stato vicesindaco o assessore. Il ciclo del suo impegno coincide con la parabola dell’Unione popolare mantese, il raggruppamento fondato da comunisti, socialisti, indipendenti, cattolici progressisti nel 1970.

A scegliere le realizzazioni più significative che Roberto ha promosso o a cui ha contribuito, punterei l’attenzione sui primi 7 anni di governo dell’Upm, quando, malgrado enormi difficoltà di bilancio e di personale (5 dipendenti in tutto, nessun tecnico), fu inaugurato il nuovo municipio, costruito il depuratore e acquistata la vecchia sede del Maero per ricavarne delle aule. Con un sussidio fu favorita l’apertura di una farmacia e venne ospitato nei nuovi locali del Maero il consultorio familiare, finanziato dalla Regione, di cui Saluzzo non aveva voluto occuparsi.

Per mettere fine al Far West edilizio fu affidato all’arch. Guido Ponzo l’incarico di redigere un Piano regolatore generale. La sua approvazione nel 1980 consentì di assegnare le aree alla cooperativa "La Torre" e allo Iacp per la realizzazione di alloggi popolari.

Alla prima fase del governo di centrosinistra (o sinistra tout court) a Manta aggiungerei le opere degli anni ’90: la trasformazione del Maero in casa protetta, gli impianti sportivi, la pavimentazione di via Roma, piazza Cavour e piazza Mazzini.

Le cariche amministrative hanno occupato più della metà della vita di Roberto, mancato per una tragica fatalità a 63 anni. A questo arco di tempo, che, spartito con il lavoro e sottratto alla vita familiare, copre più della metà della sua vita, vanno aggiunti gli anni dell’adolescenza.

La formazione politica di Signorile, come quella di chi scrive, comincia negli anni ’60 nella Federazione giovanile comunista di Achille Occhetto, quando ragazzi di 15-16 ci riunivamo in una modesta sede alla Villa di Verzuolo con Enzo Albera, Beppe Sasia, i fratelli Cischino, Romeo Giolitti e altri per discutere della situazione internazionale, del Terzo Mondo, della Nuova Frontiera, del disgelo fra Krusciov e Kennedy, della guerra in Vietnam; a leggere passi di Gramsci, ma anche di don Milani e della Pacem in terris (erano gli anni del dialogo fra cattolici e marxisti)...

Non trascuravamo l’analisi della politica nazionale, dove nel dicembre del 1963 l’accordo fra Moro e Nenni aveva portato alla costituzione del primo governo di centrosinistra (Manta ci era arrivata parecchi mesi prima con la pur effimera giunta di Vassallo, Carlo Sismondi, Luigi Signorile - il papà di Roberto -, Leone Galliano e Andrea Baravalle). Ai moderati, che pensavano di emarginare in questo modo il Pci, contrapponevamo gli “equilibri più avanzati”, su cui incalzavamo il Psi, e la “lotta per le riforme di struttura”: sanità, scuola, casa. Fu per questo che, aiutati dagli architetti Ponzo e Rivoira, fondammo la cooperativa edilizia “Lavoratori verzuolesi” e poi “La Torre” di Manta... Fummo entrambi eletti consiglieri, ciascuno del Comune di residenza, uno nel ’70, l’altro nella tornata successiva.

Da quella esperienza giovanile derivavano a Roberto il senso della partecipazione popolare (convocava frequenti assemblee pubbliche), la capacità di passare dal generale al particolare, dalla teoria alle scelte concrete, la consapevolezza che la gestione di un comune non si riduce alla sistemazione delle strade o alla realizzazione di manufatti. Coltivava così la memoria della Resistenza, partecipando a tutti gli eventi di rilievo. E fu sotto un suo mandato che si riordinò l’archivio, cosa che rese possibile la stesura della storia di Manta fra ‘800 e ‘900, il cui incarico mi fu affidato sotto il mandato di Giusiano con Rosalba Pasero alla cultura...

Nel caso di Roberto il rimpianto è per la perdita dell’amico e del compagno, irrimediabile. Vi si somma il timore che la sua eredità politico-amministrativa vada dispersa. Ma, perché così non avvenga, si può e si deve lottare.

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