Saluzzo capitale della cultura, non ci siamo

Saluzzo capitale della cultura, non ci siamo
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Ho seguito (non perfettamente, visto che ero in treno) il primo incontro on line della serie “Verso Saluzzo Monviso 2024”.

Patrizia Asproni ha proposto come modelli di politiche culturali la pubblicità dell’Islanda (geysers e vulcani), il museo Marino Marini di Firenze e soprattutto il tecnologico e un po’ macabro Museo del futuro di Dubai (della serie renziana “Rinascimento in terra d’Arabia”).

Pierluigi Sacco ha ripetuto dieci volte la parola digital empowerment, ossia necessità di superare il ritardo informatico che penalizza l’Italia. Si è parlato di allestimenti museali, di comunicazione, di apertura verso le piccole imprese dell’agricoltura e del commercio.

Molta tecnologia, un po’ di economia, di cultura nemmeno l’ombra. Saluzzo e il saluzzese c’entravano ancora di meno.

Da semplice iscritto a “Insieme si può”, a cui il Covid preclude il confronto in assemblea, dico: non ci siamo. Bisogna correggere la rotta e togliere la candidatura di Saluzzo a capitale della cultura dai binari del verticismo e della tecnocrazia in cui è finita e rimetterla su basi più solide.

Allo stesso modo mi preoccupa l’emergere nella commissione che esamina i nominativi proposti per l’intitolazione della biblioteca (drôle de commission, formata fondamentalmente da ex sindaci, anche se qualcuno di loro è uomo di cultura) dell’ipotesi Alessio Ollivero. Si tratta di un personaggio per alcuni versi benemerito (costituzione della Cassa di risparmio, ri-fondazione della biblioteca), ma esponente di una fazione del liberalesimo saluzzese, quello che faceva capo alla famiglia Pivano, che a differenza dei “marchesisti” di Marco di Saluzzo, Isasca e Fillia, non solo accettò l’ascesa del fascismo, ma la favorì... Le camicie nere contraccambiarono, monopolizzando le esequie di Ollivero (1931), proprio come se fosse “uno di loro”. Ma su tutte queste liaisons rimando a più puntuali scavi di archivio.

Mi limiterò ad accennare, per restare agli anni ’30, all’altra Saluzzo, quella che non piegò il capo, dai liberali veri alla famiglia Cavallera, dagli esuli in Francia come i Gillio o la scrittrice Maddalena Caramello a chi andò a morire per la libertà nella guerra di Spagna e non ha ancora avuto nemmeno il riconoscimento di una targa, come il bracciante Guglielmo Cavallero.

La Resistenza, giusto per entrare nel merito dei contenuti, rappresenta assieme con la civiltà cortese e il Risorgimento (Pellico, Allemandi, Bianco di Saint-Jorioz…), uno dei perni dell’identità culturale del saluzzese.

Pare che sia la via manageriale alla candidatura di Saluzzo sia il nome di Ollivero piacciano alla destra. Da uomo di sinistra mi pongo delle domande. Dopo la storica sconfitta inflittale da Paolo Allemano che cosa rappresenta la destra saluzzese? Ha perso negli anni la componente centrista, ragionevole e preparata, è transitata sotto la trazione leghista, povera di idee e di contributi, mentre Fratelli d’Italia dall’esterno leva di tanto in tanto commenti estemporanei. Mi si dirà: in battaglie pesanti come quella per la candidatura a capitale della cultura serve l’unità delle forze politiche.

Bene: se la destra “urbana” ha perso mordente e capacità di elaborazione, sul territorio c’è una destra che ha i voti e amministra. E’ maggioranza nel Parco del Monviso e nel cosiddetto gruppo di Octavia. Con questa destra bisogna fare i conti e conquistarla alla candidatura nazionale per il 2024.

Sono in ballo Comuni nei quali sorgono monumenti o pezzi di storia indispensabili per chiunque voglia fare della seria politica culturale (o anche solo turistica, visto c’è molta difficoltà a distinguere fra prospettive di lunga durata e ricadute economiche immediate).

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