Sanfront, Sos dalla casa di riposo «Diritti negati ai nostri anziani» accorata lETTERA DEL PRESIDENTE A MATTARELLA

Sanfront, Sos dalla casa di riposo «Diritti negati ai nostri anziani» accorata lETTERA DEL PRESIDENTE A MATTARELLA
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A quello che lui stesso chiama “sfogo personale” affida la missione di «scuotere non solo i nostri rappresentanti politici (che sanno che tanti dei nostri anziani non votano più), ma anche i dirigenti e i funzionari della pubblica amministrazione, affinché, con un impeto di orgoglio e di impegno, non perdano il senso della prossimità e della cura sociale«.

Silvio Ferrato, il presidente dell’Ospedale di Carità (casa di riposo), non ne può più e scrive direttamente al presidente della Repubblica Mattarella, e in copia a presidenti di Senato e Camera, presidente del Consiglio dei ministri, ministro della Salute, prefetto di Cuneo, parlamentari eletti nella nostra zona, presidente della Regione, assessore regionale alla Salute, assessori e consiglieri regionali, presidente della Provincia, aggiungendo i presidenti delle Unioni montane, i sindaci del Saluzzese, il vescovo e tutti i presidenti delle case di riposo della zona.

Denuncia «il dramma degli ospiti chiusi nelle case di riposo da 6 mesi e dei loro famigliari» per i quali le visite continuano ad essere ancora blindate, e «nonostante la possibilità di riaprire ai parenti, con tutte le norme di sicurezza del caso, inclusi pannelli di plexiglas e divieto di contatto fisico», non si intravede un miglioramento visto che «in tutte le strutture le visite sono molto contingentate».

Ferrato parla di strazio nel vedere chi si trova «di fronte al proprio caro che cerca di accarezzarlo toccando il plexiglas o peggio il tablet che ha di fronte».

«I bar pieni, le spiagge affollate, le discoteche stracolme, ora le scuole per le quali si è cercata e trovata una parvenza di normalità, mi fanno tutti i giorni pensare agli ospiti delle Rsa e ai loro familiari per i quali non solo una soluzione pare essere ancora un miraggio, ma è un miraggio persino una seria discussione sul problema».

«In qualità di presidente di una struttura mi rendo conto che così non si può andare avanti. I nostri ospiti sono vivi, questo vorrei fosse ben chiaro: l’unico scopo di vita è la vicinanza dei parenti, le voci dei congiunti, i sorrisi e le carezze dei nipotini, mangiare un dolcetto fatto a casa, sentire i racconti di quello che fanno là fuori. Insomma, sentire l’affetto dei loro congiunti è forse l’unica cosa che interessa loro a questo punto…».

«Invece tutto questo è ancora proibito, si è costretti a interpretare i silenzi da lontano, o a cambiare discorso con leggerezza davanti a un’operatrice che si trova ad entrare, senza volerlo, nelle pieghe delle famiglie. Pensiamo veramente che gli ospiti ci perdonino tutto questo? Io non lo penso«.

Ferrato parla di «desertificazione dei sentimenti» che fa rima con «diritti negati».

«Le ho pensate già tutte e mi sveglio la notte con questo cruccio e mi chiedo se non basterebbe, con una spesa limitata, anche da far pagare alle famiglie, attrezzare i parenti in visita con i necessari dispositivi di protezione, creare accessi e percorsi sicuri e sanificati a ogni visita, per poter permettere un minimo di calore umano a chi non è rimasto altro che quello. È possibile che la nostra civiltà sia così povera di inventiva e di idee? Io non lo credo proprio… ma questo drammatico impoverimento dei legami sociali avrà ripercussioni sulla vita delle nostre famiglie e sul tessuto delle nostre città. Se non facciamo di tutto per dimostrare coi fatti che chi invecchia resta al centro della società, tra qualche anno gli anziani si ritroveranno a vivere in un lager e in quel lager fra pochi anni ci saremo anche noi, anche in questa parte d’Italia ben pasciuta, dove c’è chi continua a chiudere gli occhi perché pensa che il problema non lo tocchi e non si rende conto che gli piomberà addosso molto presto».

E’ un grido accorato quello di Ferrato: «Intanto noi stiamo alle regole e, dal momento che ci hanno detto di pazientare, lo abbiamo fatto. Chi, intanto, muore di solitudine non siamo noi, sono i nostri genitori che se ne andranno, dopo aver evitato il coronavirus ma rischiando di morire in totale solitudine, con la sensazione di essere stati abbandonati da tutti senza colpa alcuna. Gli anziani sono sempre in fondo alle scelte pubbliche quando il sistema si sgretola, i primi a uscire e gli ultimi a rientrare. Questa è una società malata. Un pensiero lo rivolgo anche al personale di cura e ai responsabili delle residenze, che svolgono ogni giorno un lavoro eccezionale: proteggere se stessi e i residenti dalla trasmissione del virus, senza più contare sul sostegno di parenti e volontari, cercando di arginare la solitudine degli anziani».

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