Seimandi-Ciaferlin: era meglio il mio “Volare” di questo Festival

Seimandi-Ciaferlin: era meglio il mio “Volare” di questo Festival
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Allora maestro Seimandi, nonché illustre Ciaferlin: ti è piaciuto il Festival?.«Che Festival? Io ho bei ricordi di quando portavo in giro sulle piazze “Volare” e collaboravo con la Gazzetta per il Microfono d’Oro, ma a parlarne ora mi viene il magone... O forse intendevi il Festival di Sanremo?».Proprio così: in tv ci hanno massacrato per una settimana fino alle tre di notte e tu fai finta di niente. Sei diventato snob? «Ma che snob, è che ogni volta che buttavo l’occhio c’erano Ibrahimovich, Mihajlovich o Amadeus che parlava dell’Inter, e mi sembrava la Domenica Sportiva, altro che Festival della canzone. E poi io tifo per l’Atalanta».Ho capito: Sanremo non ti è piaciuto. E non oso nemmeno chiederti cosa pensi dei vincitori, i Maneskin.«Guarda, mi è piaciuto il titolo del brano: “Zitti e buoni”. Si adatta perfettamente a questi giorni disgraziati. Loro, chiamiamoli cantanti, a esibirsi nel vuoto dell’Ariston con gli applausi finti, noi come babbioni davanti al video, mentre il virus continua a correre. Dico la verità, per me Sanremo era meglio non farlo, anche per rispetto di tutte le persone che vivono di spettacolo e cultura, e sono a casa a rodersi il fegato».Ma era per tenerci su il morale, hanno detto: non sei d’accordo?«Per niente. Da “Grazie dei fior” ai Maneskin sono passati più di 70 anni e grazie a Dio noi italiani abbiamo saputo tenerci su il morale lavorando, crescendo, facendoci rispettare nel mondo. Quest’anno Sanremo mi è sembrato un baraccone messo su per i soldi della pubblicità televisiva e basta. D’altronde c’è stato un forte calo di spettatori: vorrà pur dire qualcosa».Che cosa, secondo te?«Viviamo in una tragedia. L’anno scorso ci eravamo illusi che fosse finita e invece ci ritroviamo in zona rossa. Penso agli anziani e ai bambini soprattutto, che sono i più svantaggiati. Ma anche alle povere mamme alle prese con la Dad... Siamo messi male, e me ne sono accorto benissimo durante il nostro Carlevé indoor: la gente non ha più voglia né di ridere né di far festa, le preoccupazioni sono troppe».Ma il Carnevale è andato comunque bene: avete portato la vostra simpatia e allegria in mezzo alla gente, pur se on line. «I 250 mila che si sono collegati alle nostre esibizioni sono veramente tanti, e li ringrazio. Però il momento più bello è stato al Tapparelli, l’unica uscita “in presenza”, come si dice oggi, che ho vissuto con la Castellana. Vedere da vicino quei volti di nonni sorridenti, mi ha rincuorato. Lì ho pensato che il Carlevé è una buona cosa».Caro Seimandi, vorrei chiederti del tuo lavoro, ma so che tu mi chiederai se ho una domanda di riserva. Vero?

«Per carità, noi popolo dell’intrattenimento ci arrabattiamo. Io continuo a registrare puntate della mia trasmissione “Mi ritorni in mente” a Telecupole, riordino testi e musiche, collaboro a qualche progetto. Mi angosciano i giovani che hanno imboccato la strada della musica, dell’arte, della cultura in generale: sono tutti in mezzo a una strada».

Bisogna stare tutti zitti e buoni come cantano i Maneskin?

«Straparlare non serve, come vedo in tv tutti i giorni. Ma neanche stare zitti: cerchiamo di restare normali, volerci bene, e speriamo che i vaccini di Draghi arrivino in fretta».

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