Storia Dietro la leggenda dell’incendio negli Usa la brutale realtà di setifici e filatoi dove lo sfruttamento era la regola All’origine dell’8 marzo l’epopea delle filande e il dramma delle lavoratrici bambine e donne
Per molti anni le lavoratrici italiane e di altri paesi hanno celebrato la festa dell'8 marzo, credendo di commemorare la fine orrenda di più di cento operaie tessili, rimaste intrappolate in un incendio, chiuse nello stabilimento, perché non perdessero tempo, da uno spietato padrone di Boston (o Chicago o Washington). In realtà nel 1910, quando alla Conferenza di Copenhagen la segretaria della sezione femminile della II Internazionale, la socialdemocratica, poi comunista, Clara Zetkin, fissò una data per la mobilitazione di tutte le donne socialiste d'Europa e per la rivendicazione del diritto di voto, nessun incendio così tragico era ancora scoppiato negli Stati Uniti. Se ne registrò comunque uno di quelle proporzioni il 30 marzo dell'anno dopo a New York.
Perché si è affermata e così a lungo è stata creduta la leggenda del rogo colposo? La risposta è agghiacciante: perché si trattava di un evento assolutamente plausibile. Fra Otto e Novecento gli incendi nelle fabbriche tessili erano all'ordine del giorno e le conseguenze devastanti.
FABBRICHE A FUOCO
La nostra provincia da sola offre una rassegna impressionante: il 23 settembre 1883 brucia la filanda Dalmasso di Boves, il 13 agosto 1893 il filatoio Geisser a Fossano; nel marzo 1913 a Roccadebaldi avvampano le fiamme nella filanda Giorgis, il cui padrone ha, come allora in America e oggi in certi laboratori clandestini, l’abitudine di bloccare le porte e impedire con grossi cani da guardia che le ragazze escano dai reparti.
Nella notte fra il 28 e il 29 settembre 1905 prende fuoco la filanda-filatoio Keller di Villanovetta, nel 1906 tocca allo stabilimento Allasia a Verzuolo. Tutti questi incendi non registrano vittime perché scoppiati per lo più di notte, a fabbrica vuota, oppure non hanno raggiunto i dormitori, in cui la maggior parte dei filandieri stipa le ragazze che vengono da fuori paese. Si lavora per ben 13 ore, dalle 6 alle 21, con pause di un'ora per pranzo e cena. Il sabato si smette alle 19 e chi può rientra in famiglia. Per il 13-14 per cento le filandaie hanno meno di 15 anni, quelle fra i 15 e i 21 rappresentano un terzo di tutte le occupate.
Ma «le donne che si recano alle filande anche alla distanza di 50 e 60 chilometri colle figlie - scrivevano nel 1880 due relatori dell’Inchiesta Jacini - stanno lontane da casa per una buona metà dell'anno». Nel setificio Mana & Demartini di Saluzzo e nel Gamna di Savigliano abbondano ragazze di Sommariva Bosco, Sanfré, Caramagna, Priocca, Vezza, Corneliano e Villafranca.
Nel filatoio Giorelli ad Alba lavorano giovani donne di Cavallermaggiore, sistemate per la notte in due camere orientate verso il cortile centrale.
Nella notte fra il 18 e il 19 settembre 1882 dodici di esse muoiono asfissiate dall’ossido di carbonio sprigionato da una lampada a petrolio non ben spenta.
Questo tipo di illuminazione, usato anche negli stabilimenti, è una delle cause dei frequenti incendi, l’altra risiede nell’infiammabilità della materia lavorata (i bozzoli essiccati) e dei macchinari, quasi tutti in legno, a cominciare dalle ruote motrici e dalle piante che trasmettono il moto agli aspi.
Quello delle filandaie era un lavoro rischioso e logorante, con stipendi miserabili. A Saluzzo a inizio secolo le apprendiste guadagnavano da 50 a 80 centesimi, le adulte 1 lira e 15 centesimi, a Racconigi fra le 0,70 e l'1,10, mentre gli uomini superavano già le 2 lire e i muratori arrivavano fino a 4.
IL FILANTROPO KELLER
Migliore era la situazione a Villanovetta, dove gli stipendi, almeno finché fu in vita Alberto Keller, oscillavano fra 1 lira e 10, 1,30. In più era loro fornito “un pasto sano e gratuito”, una scuola domenicale, un asilo per i bambini e la possibilità di iscriversi ad una Società di mutuo soccorso per l’assistenza medica. Morto il fondatore del gruppo serico, peggiorarono tanto la remunerazione quanto le prestazioni assistenziali, sostituite da occasionali “regalie”, per lo più un capo di vestiario.
Negli stabilimenti verzuolesi dei fratelli Allasia e di Francesco Chicco le paghe dovevano davvero essere di fame, se nel 1882 il pretore Giudici denunciava frequenti casi di prostituzione per necessità.
Ecco allora la fuga delle lavoratrici verso i nuovi, più moderni e meno insalubri lanifici o cotonifici, illuminati e mossi dall’energia elettrica, che si aprono a fine secolo. Presso la Wild di Piasco inizialmente gli stipendi sono allettanti.
LA SVOLTA DELLA WILD
Nel 1895 si inaugurano in frazione S. Antonio nuovi reparti del cotonificio. Il socio di Wild Rodolfo De Planta vorrebbe pagare alle operaie del vecchio stabilimento 6-8, massimo 10 soldi al giorno, cioè mezza lira. L’ing. Enrico Wild obietta: «Lei mi dirà che al V. Stabilimento sono bambine - lo so bene. Ma con quelle paghe un'operaia non può vivere».
Con la stessa determinazione redarguisce in pubblico gli assistenti Walder e Füre (svizzeri) che hanno schiaffeggiato una filatrice che non ha capito un ordine e un’altra sorpresa di notte a fare la calza, mentre i telai viaggiano da soli.
Dal 1887 è infatti iniziato il lavoro notturno: 11 ore e mezzo con il carico di due macchine ogni operaia. Durerà fino a giugno 1907, quando non può più essere rinviata l’applicazione della legge del 1902 che abolisce il lavoro notturno femminile.
Al lanificio Cardolle di Saluzzo gli stipendi variano da 90 centesimi a 1 lira e 20. Si lavora a cottimo. Nel 1911 120 operaie su 250 incrociano le braccia: chiedono un aumento e soprattutto un “trattamento più civile”. Gli assistenti le richiamano spesso “con appellativi indecorosi e ingiuriosi”. L’epiteto più usato è “bagascia”. La sezione socialista, a cui le scioperanti si rivolgono, fa proprie le loro rivendicazioni e in un comunicato denuncia anche episodi di molestie sessuali.
SCANDALO SCIOPERANTI
E’ uno scandalo. La Saluzzo “bene”, con i pivaniani e i marchesisti (così si chiamano le due fazioni liberali in lotta per il controllo del Comune e la conquista del seggio di deputato) questa volta uniti, deplora non i soprusi, bensì la denuncia. Il Patronato della giovane operaia, formato dalle matrone cittadine, interviene per “salvare l’anima” delle ragazze insidiata non dalle avances dei capireparto o addirittura dei giovani figli del nuovo socio Michel che nel 1906 ha portato alla Cardolle cospicui capitali, ma dal “materialismo” dei socialisti. Gran parte delle scioperanti si lascia convincere e torna al lavoro.
SOCIALISTI SALUZZESI
D’altra parte il Psi saluzzese, non ancora irrobustito dall’adesione degli avv. Liderico Vineis e Paolo Lombardo, dispone di poche forze né in città, diversamente da altri centri della provincia, è stata ancora aperta una Camera del lavoro.