«Travolti dai proclami in tv»
Dotto Albertini, Cosa non ha funzionato?
«A fronte di proclami televisivi in cui le mascherine venivano fatte passare per indispensabili, c’era un quadro normativo incomprensibile, reso ancora più pericoloso dalle interpretazioni che ogni procura ha dato. Per 10 giorni per essere realmente “in regola” si sarebbe dovuto non comprare mascherine: peccato fossero i 10 giorni della psicosi. Poi diverse altre questioni hanno reso nebuloso il sistema».
Ad esempio?
«Per qualche giorno veniva imposto di non spacchettare le mascherine per la vendita. Ma erano in confezioni da 50: il dubbio, anche etico, era se dare 50 mascherine a uno o 50 mascherine a altri clienti. Il commissario Arcuri, poi, con le uscite sul costo bloccato delle mascherine, ha proposto cifre fuori mercato, tardando troppo lo scorporo dell’Iva: all’Italia questo “giochino” è costato molto caro».
Tornasse indietro cosa cambierebbe?
«Ferma restando la frenesia di quei giorni, noi prudentemente abbiamo richiesto una fornitura alla Only Italia, facendo più di quello che era richiesto dalla legge. Avere come cliente un’azienda che riforniva la Protezione civile e che aveva come amministratrice l’ex presidente della Camera, già terza carica dello Stato, ci è sembrato sufficiente per sgomberare il campo da ogni sospetto. Non abbiamo compiuto alcuna speculazione e abbiamo mantenuto i nostri margini, bassi per presidi di questo tipo».
Stupito dell’esposizione mediatica avuta in questo caso?
«C’era da aspettarselo: è stato il tema dominante per mesi. La Pivetti è un personaggio molto noto, e credo sia stata la pietra dello scandalo: forse aziende con amministratori meno noti l’hanno scampata. In generale poi il clima di terrore creato dai virologi e la caccia alla mascherina irregolare minacciata dalle autorità hanno alimentato il cortocircuito. Un primato tristemente italiano».