Una strage senza colpevoli

Una strage senza colpevoli
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Intendo occuparmi dell’ultima parte del libro di Livio Berardo, significativamente intitolata “Una strage senza colpevoli”, dedicata al processo contro il conte Corrado Falletti, podestà di Villafalletto. Oltre che per i reati di collaborazionismo con i tedeschi e i nazifascisti della Rsi e di spionaggio in danno dei partigiani, Falletti venne rinviato a giudizio in stato di detenzione per i reati di concorso in strage e omicidio. Le sofisticate manovre per riuscire a impedire la giusta condanna sono ricostruite passo per passo, giorno per giorno.

Giudice naturale per quei reati è la Corte di assise straordinaria (CAS) di Cuneo, organo di giustizia istituito in ogni provincia per giudicare i collaborazionisti. I difensori chiedono immediatamente la remissione del processo ad un’altra CAS, in quanto Cuneo sarebbe stata una sede troppo coinvolta nei reati commessi dal conte e dai suoi complici. La corte di appello di Torino (presieduta da Domenico Riccardo Peretti Griva, noto per il suo passato antifascista) respinge l’istanza ma i difensori ricorrono in Cassazione, che trasferisce il processo a Genova, ove – guarda caso – è presidente della corte di appello Giovanni Giudici, magistrato notoriamente compromesso con la Rsi (nel marzo 1944 aveva espresso al ministro della giustizia Pisenti la fedeltà della magistratura genovese). Delle due sezioni della CAS istituite a Genova il processo viene assegnato – guarda caso – a quella presieduta da un magistrato anziano prossimo alla pensione, che aveva ricevuto nel periodo fascista encomi e titoli onorifici, ritenuto piuttosto sbrigativo e lassista.

La conduzione del dibattimento è viziata da scandalose parzialità in favore dell’imputato: i testi di accusa vengono esaminati sbrigativamente e più della metà, forse intimiditi, non si presentano; sono invece presenti tutti i testi a difesa, che erano stati accompagnati in autopullman e ospitati in albergo a Genova a spese della contessa Falletti. Tra i testi a difesa sono particolarmente significative le deposizioni del parroco e del sindaco: Falletti è descritto come uomo mite e alieno dalla violenza, benvoluto da tutti, viene prodotta una lista di 1116 firme di cittadini che ne sollecitano la liberazione e il proscioglimento. Il pubblico ministero chiede la condanna a trenta anni di reclusione, ma dopo quel dibattimento l’esito è scontato: rimane in piedi solo il reato di collaborazionismo politico, peraltro estinto perché coperto dall’amnistia Togliatti del 1946. L’istigatore e ispiratore dell’eccidio di Ceretto viene quindi trionfalmente liberato.

Il ricorso in Cassazione presentato dal pubblico ministero viene assegnato – guarda caso – alla II sezione penale, presieduta da Vincenzo De Ficchy, passato alla storia per i sistematici annullamenti delle sentenze di condanna pronunciate dalle CAS. Il ricorso viene respinto e le assoluzioni sono confermate.

Infine, inedita e di grande interesse è la parte finale del volume relativa al ruolo svolto nell’eccidio dagli ufficiali tedeschi, alle archiviazioni in sede penale, alle successive luminose carriere in Germania, a partire dal tenente colonnello Johannes Steinhoff.

La conclusione finale è del tutto sconsolante: né in Italia né in Germania l’eccidio di Ceretto ha visto puniti gli autori di quel feroce massacro.

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