Barge culla delle formazioni garibaldine con protagoniste “Camilla” e tante donne Fusta editore ripubblica il libro dedicato all’ostetrica-partigiana Maria Rovano

Barge culla delle formazioni garibaldine con protagoniste “Camilla” e tante donne Fusta editore ripubblica il libro dedicato all’ostetrica-partigiana Maria Rovano
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Ho accettato volentieri l’invito a riscrivere la prefazione al libro “Camilla-Maria Rovano, un’ostetrica partigiana” (editore Fusta) che nel 2004 avevo preparato per la pubblicazione di quello che era un ottimo lavoro di ricerca compiuto al “Soleri-Bertoni” da Piera Comba con due colleghe in tre classi.

Infatti la rilettura del testo, trasformato dalla giovane studiosa Giulia Beltramo con note, aggiornamenti bibliografici e nuovi documenti, mi consente di mettere a fuoco due questioni. Innanzi tutto un primato: Barge è la località dove si costituisce la prima formazione partigiana della provincia, il battaglione “Pisacane”.

Tutti gli storici della resistenza, da Roberto Battaglia (1955) ai recenti Mimmo Franzinelli e Marcello Flores, aprono con la banda “Italia libera” di Duccio Galimberti e Dante L. Bianco a Madonna del Colletto o tutt’al più con quella di Ignazio Vian nel bovesano. Sabato scorso sulla “Stampa” Marco Revelli ha addirittura sparato il nome di Paralup, che fu la seconda sede di “Italia libera”, occupata solo a fine settembre 1943.

Nei fatti già il 10 settembre da Torino Ludovico Geymonat, Gustavo Comollo, Nella Marcellina e altri quadri clandestini del Pci arrivano a Barge, dove il professore ha la casa di campagna: la sera sono raggiunti dal tenente Pompeo Colajanni, del Nizza cavalleria, di stanza a Cavour. Colajanni porta con sé armi e 15 fra soldati e ufficiali.

Perché a Barge tocca questo ruolo precorritore? Barge, come il resto dell’Infernotto, è a cavallo di due province, sta fra pianura e montagna: è il crocevia in cui si incontrano operai torinesi, contadini cuneesi e scalpellini, giovani piemontesi o liguri e militari meridionali, soprattutto siciliani.

Maria Rovano fa parte di un gruppo di combattenti di eccezionale prestigio, in cui brillano la scienza filosofica di Geymonat, la preparazione economico-politica del commissario Antonio Giolitti, la cultura e la competenza militare di “Barbato”.

“Camilla”, come suona il nome di battaglia assegnatole dal comandante sulla base di reminiscenze virgiliane e dantesche, vi occupa un posto essenziale. Continua a svolgere la sua professione di ostetrica e diviene così il raccordo fra quella parte (maggioritaria) di popolazione che sostiene la causa e i partigiani.

Non è l’unica donna del “Pisacane”, che diventerà come brigata Garibaldi la formazione partigiana con la più alta percentuale “rosa” in Piemonte: il libro traccia i profili di Marisa Diena, delle mogli di Geymonat e Guaita.

Ad esse aggiungiamo Odinea Marinze, italo-slovena fin dai tempi del confino compagna di Gustavo Comollo (Pietro), le bargesi Teresa Roggero e la figlia Caterina Perassi. Odinea, infaticabile staffetta fra Barge e Torino, il 5 giugno ’44 è catturata e deportata a Ravensbrück. Nell’estate del ’45 ritornerà prostrata nel fisico e trascorrerà lunghi periodi di convalescenza a casa di Maria Rovano, con la migliore assistenza umana e professionale.

Teresa e Caterina, a rischio della loro vita, custodiscono fino alla liberazione, nella loro stalla alla Capoloira, la radio e la cassa della brigata.

Come alla primazia di Barbato e dei suoi sono mancate penne come quelle che hanno fatto la fama di “Italia libera” e dei GL, da Giorgio Bocca a Nuto Revelli, così anche con le donne la letteratura non è stata benevola. Mentre gli autori maschi hanno trascurato l’altra metà del cielo, una protagonista come Marisa Diena si è occupata di tutti i combattenti, uomini e donne, e comunque il suo libro sulle brigate Garibaldi esce solo nel 1970. Addirittura posteriore è “La Resistenza taciuta”, di Anna Maria Bruzzone e Rachele Farina, da cui è tratta la lunga testimonianza di “Camilla”.

Di lì e dai nuovi documenti emerge la figura di una donna forte, che ha lottato per la libertà e l’uguaglianza non solo in tempo di guerra. Si è scontrata con la famiglia per le sue scelte di vita, ha intrapreso una professione con cui aiutare le altre donne, ha sfidato le convenzioni sociali, troncando un matrimonio sbagliato in un’epoca in cui non esisteva ancora il divorzio.

E’ stata comunista in una zona “bianca” ai tempi della scomunica di papa Pacelli e ha lasciato il Pci, quando non ha saputo prendere le distanze da Mosca sui fatti di Ungheria, ma non ha abbandonato l’impegno politico.

Nel 1958 ha appoggiato la candidatura di Antonio Giolitti nelle liste socialiste per la Camera. Ne ha sostenuto le battaglie riformatrici nei governi Moro-Nenni, e il suo riavvicinamento al Pci, emancipato con Berlinguer dall’influenza sovietica.

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