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Da Staffarda alla Spagna, i monasteri che hanno salvato la cultura europea

Patrimonio di valore assoluto da trasmettere alle future generazioni

Da Staffarda alla Spagna, i monasteri che hanno salvato la cultura europea
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Da alcuni anni, durante i miei viaggi tra l’Italia e la Spagna , mi soffermo a visitare abbazie ed enclavi templari, edifici che ci parlano di un lontano passato, ricco di storia.

Ultimamente molti monasteri sono diventati mete turistiche, alcuni addirittura sono stati trasformati in hotel, ma anche nel XXI secolo non perdono il loro fascino e hanno ancora tanto da raccontare. Ne citerò alcuni, di grande impatto, sia per la loro grandiosità che per il luogo in cui sono ubicati: Sénanque e Fontfroide in Francia, Ripoll, Montserrat, Poblet, Monasterio de Piedra e Santa Maria de Huerta in Spagna.

MONACI AMANUENSI

Uno degli ambienti dei monasteri che maggiormente catalizza la mia mente è lo scriptorium, il luogo adibito alla copiatura dei testi. Mi immagino i monaci amanuensi sedere su panche dinnanzi a tavoli con piani inclinati nel silenzio più profondo, al debole bagliore delle lucerne. Generalmente scrivevano alla luce del giorno, che penetrava dalle grandi finestre, di cui gli scriptoria erano muniti, ma nelle giornate invernali, quando si faceva buio presto, il compito paziente di copiatura continuava al lume delle candele.

E’ risaputo che il loro minuzioso lavoro ha permesso il recupero della cultura classica.

Infatti la caduta dell’Impero Romano aveva causato un’inarrestabile decadenza culturale. A quell’epoca sempre meno persone erano in grado di leggere e ancor meno coloro che sapevano scrivere. Per molti era più facile maneggiare una spada che una penna. E così, con il disgregarsi della società colta, gran parte del patrimonio letterario antico andò perduto.

Nessuno si preoccupò di copiare e conservare i libri, se non i monaci che, attraverso gli amanuensi, li trascrissero a mano, tramandandoli come beni preziosi, non soltanto perché erano fatti con materiali pregiati, ma anche perché produrre un libro era un’arte che richiedeva abilità e molto tempo, a volte anni.

Per scrivere si usava dapprima il calamo, che era un bastoncino di canna o di giunco essiccato, di una lunghezza adeguata perché fosse agevole da impugnare. La punta veniva tagliata o in obliquo o per piatto, in base allo spessore richiesto per la scrittura. Per rifare la punta, si usava lo scalprum, una sorta di temperino.

I fogli erano di pergamena, ricavati dal vello delle pecore, dei capretti o dei vitelli. Il termine pergamena deriva dalla città di Pergamo, la prima città che la adottò in sostituzione del papiro. La carta fece invece la sua comparsa, provenendo dall’oriente, nel XII secolo. La pergamena poteva essere raschiata, per cui per cancellare si usava un piccolo rasoio.

Nel VI secolo d. C. si iniziò a scrivere anche con una penna d’uccello, generalmente d’oca, che presto sostituì il calamo, perché più facile da maneggiare.

L’inchiostro, in epoca medievale, si ricavava da pigmenti naturali. Il più diffuso era un inchiostro nero, il ferro-gallico, già in uso presso i romani, che si ricavava dalle galle, ovvero escrescenze tonde e nodose, che si formavano solitamente sui rami delle querce. Si mettevano in infusione le galle, si aggiungeva del vetriolo verde e della gomma arabica oppure del bianco d’uovo. Incorporando del vino o dell’aceto all’acqua dell’infusione, si otteneva un inchiostro molto scuro e quasi indelebile.

PERGAMENA E INCHIOSTRI

Gli inchiostri colorati si ottenevano in vari modi. Il blu, costosissimo, si ricavava dal lapislazzuli, una pietra orientale molto pregiata. Il rosso si traeva dal minio, un minerale presente in natura contenente del piombo, metallo tossico, che per contatto o per ingestione volontaria portava all’avvelenamento.

L’inchiostro nero veniva usato per tutto il testo, tranne che per i capilettera e le miniature, che erano a colori.

La pergamena, resistente e costosa, veniva lavata e trattata con un bagno di acqua e calce, per poterla conservare a lungo. Posta ad asciugare su un telaio di legno, era poi raschiata e levigata con la pietra pomice per eliminare tutte le imperfezioni. La si lasciava nuovamente essiccare. Infine, usando riga e squadra, veniva tagliata a dimensioni diverse.

Prima di scrivere gli amanuensi tracciavano con la grafite alcune linee che erano di aiuto per la scrittura.

Le lettere erano vergate tutte nelle stesso identico modo e il testo era allineato in colonne, per rendere non solo più agevole la lettura, ma anche perché fosse bello da vedere. I margini laterali erano ampi per essere arricchiti di miniature.

Conclusa la scrittura si passava alla rilegatura del testo, raccogliendo i fogli in fascicoli di spessore variabile che poi erano cuciti insieme e infine muniti di una copertina di legno rivestito di cuoio.

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